C’è una relazione diretta tra spontaneità, gioco di ruolo e inversione di ruolo. “Il ruolo è il modo di essere reale e percettibile che assume l’Io; il modo di essere e di agire che assume l’individuo, nel momento stesso in cui reagisce ad una situazione in cui sono impegnati altri” (Moreno, Manuale di Psicodramma, Astrolabio, 1985, pag. 81).
Il bambino sperimenta, nella sua evoluzione, vari tipi di ruolo. Il proprio e quello degli altri. Si può dire che gioca i ruoli delle persone che vivono accanto a lui, nel momento in cui, osservandole, le assimila.
La sua non è una semplice imitazione ma una vera e propria introiezione. Il bambino, meglio di qualsiasi protagonista di psicodramma, conosce il gioco di “diventare l’altro”. È un gioco necessario alla crescita perché permette al bambino di apprendere i molti gesti necessari per essere accettato dall’ambiente ed entrare a far parte della società. Ma è anche un gioco rischioso, perché diventare l’altro vuol dire, a volte o spesso, tanto o poco, rinunciare alla propria tendenza naturale.
Per Moreno c’è una distinzione tra gioco di ruolo e inversione di ruolo.
Nel setting dello psicodramma giocare il ruolo di un altro è una scelta che può servire a ritrovare parti di sé, parti rimosse della personalità naturale, quindi della spontaneità. Nello stesso setting, invertire il ruolo può servire a vivere parti dell’altro che non si erano riconosciute in se stessi; parti introiettate, che potrebbero aver tolto spontaneità con tutte le conseguenze di cui abbiamo parlato; parti riconoscibili più facilmente nell’altro che in se stessi.
Egli tiene a bada la sua fantasia creativa e la subordina all’ascolto e al contenimento del paziente. Il suo compito è di analizzare la storia, senza interromperla per dare spiegazioni del suo significato. Se ci riesce, prima o poi sarà il paziente stesso a farlo. In genere uno psicoterapeuta capace di ascolto accorda uguale attenzione alle comunicazioni volontarie e a quelle involontarie del protagonista.