Wilfred Ruprecht Bion (a cura di Alfredo Rapaggi)
Poiché questo è un sito diretto a laureati in psicologia e medicina che intendono diventare psicoterapeuti, ci tengo a sottolineare alcuni aspetti della professione anche attraverso l’esempio di personaggi diventati famosi nel nostro ambito (per la verità nel caso di Bion più tra i medici che tra gli psicologi).
Dunque, più o meno giustamente annoverato tra i principali psicoanalisti contemporanei, Bion è nato l’8 settembre 1897 a Mathurà, in India, ed è morto a Oxford nel 1979. Il padre era un ingegnere idraulico dell’impero britannico mentre la madre era indiana. Di sua madre scriverà poi che era più fredda di una cappella inglese in inverno.
A otto anni subì il trattamento usuale tra i figli dei colonizzatori inglesi in india: fu mandato in collegio in Inghilterra. Subito dopo il diploma si arruolò come allievo ufficiale in un battaglione corazzato. Ha terminato col ruolo di capitano e una decorazione al merito
Si è poi laureato in lettere e filosofia, a Oxford, con un’appendice di studio a Poitiers per perfezionare lo studio del francese. In tutto questo periodo, dall’adolescenza in poi, ha coltivato il suo hobby preferito: il rugby.
Il suo primo incarico da insegnante lo ebbe nel collegio in cui fu mandato da bambino, ma una mamma lo accusò di avere abusato del proprio figlio e Bion dovette licenziarsi.
Quindi si è laureato in Medicina e Chirurgia a Londra nel 1932.
Subito dopo la laurea venne assunto come assistente al Tavistoch Insitute e scelse di occuparsi di adolescenti con disturbi di personalità e tratti delinquenziali.
Fece la sua prima analisi con un allievo di Melania Klein, John Rickman con cui farà anche le ricerche successive sulla psicologia dei gruppi.
A 40 anni, ancora vergine, si sposò con un attrice che fece appena in tempo a dargli una figlia e morì.
Un esempio di come il suo carattere incideva sulla sua professione lo dà egli stesso quando racconta della terapia di due anni fatta allo scrittore Samuel Beckett. Con scarsa attenzione alla personalità di base del paziente, Bion “impose” allo scrittore di lasciare immediatamente la madre, visto che ogni volta che la incontrava era vittima di sogni “spaventosi”. Beckett, come scrive lo stesso Bion, per tutta risposta invece di lasciare la madre lasciò la terapia.
Il mondo era alla vigilia della II guerra mondiale e Bion si arruolò come ufficiale medico nell’esercito inglese. Qua, insieme ad altri psichiatri tra cui Rigkman, s’interessò dei militari allontanati dall’esercito con la diagnosi di “nevrosi da guerra” e iniziò le sue ricerche sulla psicologia dei gruppi. Vennero formati dei gruppi privi di leader, quindi con struttura opposta a quella tipica dell’esercito e in fondo a quella che aveva contrassegnato la vita di Bion, almeno dal collegio in poi. Bion e gli altri psichiatri si erano dati l’obiettivo di non entrare mai nei ruoli di padri o capi autoritari e infatti ricevettero una risposta giudicata troppo positiva dai partecipanti. I capi militari si accorsero che quel modo di condurre un gruppo era contrario allo spirito militare e sospesero l’esperienza.
La domanda che noi oggi ci facciamo è quanto l’atteggiamento di Bion & C fosse d’indipendenza equilibrata e quanto invece influisse la ribellione all’autorità interiorizzata dall’infanzia ai lunghi anni di collegio e di militare.
Nel 1945, iniziata un’analisi che sarebbe durata otto anni, dichiarò alla sua analista, Melanie Klein, che non avrebbe seguito nessuna forma di idolatria e che non avrebbe accettato nessuna forma di dipendenza, tanto che più tardi Julia Kristeva ricorderà che Bion venne supplicato fino alle lacrime che riconoscesse il suo debito verso la Klein come caposcuola. C’è tutt’intera la storia di una dipendenza inevitabilmente legata alla ribellione e la storia di una persona che non ha dimenticato la freddezza della madre e l’assenza e l’abbandono del padre. C’è la confusione tra l’affetto che un allievo deve al maestro che l’ha aiutato nel suo cammino e il rancore che un figlio porta ancora al genitore svalutante, freddo e assente.
Per questo ritengo che Bion appartenga alla categoria di persone per le quali è indispensabile separare ciò che è stato da ciò che ha prodotto come studioso.
A seguito delle sue meticolose, direi meglio ossessive, ricerche, Bion ha formulato una teoria che modifica l’approccio psicoanalitico alla psicologia dei gruppi. Secondo questa teoria il gruppo ha una propria psicologia che ha origine a livello dei fenomeni protomentali ( matrice dalla quale scaturiscono le componenti emotive degli assunti di base all’orgine della vita mentale del gruppo). Questo luogo immaginario fu inventato da Bion per cercare di descrivere i fenomeni osservati nei gruppi, nel quale il fisico e lo psichico si troverebbero in uno stato indifferenziato. Curioso che questo dettaglio venga riconosciuto caratterizzante il gruppo e non semplicemente ogni individuo. Secondo il nostro autore comunque, nei gruppi hanno luogo fenomeni transferali verso il leader che fanno parte del ” cultura di gruppo: si tratta più precisamente degli ” assunti di base”, inconsci e condivisi da tutto il gruppo. Tra di essi, Bion distigune l’assunto di base di dipendenza, quello di attacco/fuga/ e infine, quello di accoppiamento.
Al gruppo formato dagli assunti di base Bion oppone il gruppo nella quale i membri sono guidati da uno scopo definito e accettato.
Il pensiero di Bion si articola su più livelli:
– il tentativo di risistemare il pensiero psicoanalitico in modo da renderlo ordinato dal punto di vista dell’utilizzo pratico ( uso della griglia);
– lo studio dei meccanismi psicologici, come l’identificazione proiettiva, ridefinita da Bion nei suoi aspetti normali e patologici;
– la teoria del contenimento emozionale, che ridefinisce la relazione paziente- analista.
A partire dal 1960, i lavori di Bion produssero una forte impressione nel mondo psicoanalitico, per la loro articolazione complessa e ampia, che strutturava il tentativo di rivedere e riformulare l’opera freudiana e i contributi di Melanie Klein, con l’accento decisamente posto sul linguaggio e il pensiero. Appoggiandosi alla filosofia kantiana, Bion divise l’apparato psichico in due funzioni mentali: la funzione alpha corrispondente al fenomeno, la funzione beta al noumeno (la cosa in sé, l’idea). Per Bion, la funzione alpha preserva il soggetto dallo stato psicotico, mentre la funzione beta lo espone ad esso. L’esperienza dei piccoli gruppi permise a Bion di affrontare il campo delle psicosi con l’aiuto dei vari concetti kleiniani ai quali egli aggiunse in particolare quello di oggetti bizzarri (particelle staccate dall’io e dotate di vita autonoma) o di ideogramma (iscrizione preverbale di un pensiero primitivo). D’altra parte, prendendo da Paul Schilder la nozione di immagine del corpo, sviluppò l’idea secondo la quale i gruppi e gli individui sarebbero composti di un contenitore e di un contenuto. Se, per un certo soggetto, il gruppo funziona come contenitore, ogni soggetto ha un contenuto in se stesso, o assunto di base, che determina le sue emozioni. Riguardo alla personalità psicotica, essa sarebbe una componente normale dell’io. Come distrugge l’io impedendo tutte le forme di accesso alla simbolizzazione, coesiste al contrario con altri aspetti dell’io senza diventare un fattore distruttivo. Bion ha anche costruito un modello per la cura che ha chiamato griglia. Composto di un asse verticale di otto lettere (dalla A alla H), che connotano il grado di complessità dell’enunciato, e di un asse orizzontale di sei cifre (da 1 a 6), che rappresentano la relazione transferale, la griglia doveva permettere sia di aiutare il clinico nel suo ascolto, sia di dare una base “scientifica” alla pratica della psicoanalisi. (E. Roudinesco et M. Plon, Dictionnaire de la psychanalyse, Fayard, Paris 1997. Dalla voce Bion, pp. 119-122; trad. nostra)
Dopo la morte di Melanie Klein (1960), Bion rifiutò di abbandonare la sua teoria dei gruppi, la cui originalità aveva un filo conduttore nel rifiuto del maître à penser. Se avesse accettato di assumere questo ruolo nella scuola kleiniana avrebbe fermato il cuore della sua esperienza e della sua teoria.
Didier Anzieu
Laurea in filosofia e in psicologia clinica.
Neofreudiano, collabora per 10 anni con Lacan ma il suo carattere, quindi il suo modo di vedere la psicoanalisi è molto diverso, molto più portato a considerare l’importanza delle emozioni e soprattutto più vicino all’opera di Freud. Insieme ad altri provoca la scissione da Lacan e fonda, con Laplanche, Pontalis e Laganche, la Societè Psychoanalytique de France.
E’ noto per il suo impegno nella psicoanalisi dell’infanzia e per le definizioni che dà dei gruppi. Appartiene agli psicoanalisti che hanno sviluppato lo Psicodramma Analitico che dalla Francia si è propagato nel resto dell’Europa.
Tra le sue opere conosciamo “Lo psicodramma analitico del bambino e dell’adolescente” Astrolabio, Roma e “l’Io pelle” (“le moi peau”), Borla, Roma. Due opere da leggere, la prima per la cura con cui descrive l’efficacia del metodo psicodrammatico, arricchito dalla psicoanalisi, nella psicoterapia dello sviluppo; la seconda, nella quale sviluppa un’interessante teoria di un legame tra le funzioni difensive e protettive della pelle e le funzioni equilibranti e protettive dell’Io.
Anna Freud (a cura di Alfredo Rapaggi)
Nata a Vienna nel 1895, fu l’unica della famiglia a continuare la tradizione scientifica del padre.
A soli 27 anni è entrata a far parte della società Psicoanalitica di Vienna.
Poiché aveva fatto gli studi magistrali trovò naturale dedicarsi alla psicoanalisi come forma di psicoterapia infantile, ma è chiaro, come vedremo più avanti, che questa decisione dipese anche e soprattutto dallo strettissimo rapporto col padre, dalla sua possessività e dalle sue conseguenze sulla sua vita di donna adulta.
Tornando al suo pensiero cosciente, ella ritenne che l’analisi dell’adulto sarebbe insufficiente a chiarire la storia della formazione delle nevrosi mentre la psicoanalisi infantile la completerebbe.
Nel 1937 trasferì riunì la sua specializzazione e la sua passione per la psicoanalisi nell’organizzazione del primo asilo per bambini poveri a Vienna insieme a Dorothy Burlingham.
Nel 1938 scelse di trasferirsi a Londra con il padre (esule del regime nazista). Morto il padre durante la seconda guerra mondiale, Anna organizzò la Hampstead Child-Therapy Course e la Hampstead Child-Therapy Clinic, in cui si offrivano prestazioni psicoterapeutiche per bambini e adolescenti. E’ morta a Londra nel 1982.
Il rapporto con il padre
Tra Anna e il padre Sigmund c’è stato sempre un legame molto forte e molto particolare, che da solo potrebbe descrivere il complesso edipico al femminile (o di Elettra).
Basti pensare che Freud disse di lei: “la cara ed unica figlia” !
Anna ha espresso il suo attaccamento al padre fin dall’infanzia, ovviamente, e nell’adolescenza fece la scelta psicologica di vivere realmente per lui.
E’ stata lei la prima a scoprire la malattia del padre e da quel momento gli è stata particolarmente e fisicamente vicina. Si è dedicata alla psicoanalisi dal momento che questa era la passione del padre. Un grande amore!
Freud ha inconsciamente voluto quel rapporto preferenziale, anzi unico con la più piccola delle figlie. Ben mascherato da discorsi e consigli sulla psicoanalisi è stato per lui e per lei un legame indissolubile, ma anche discutibile alla luce delle conoscenze attuali.
Quando Anna manifestò comportamenti autodenigratori il padre li attribuì alla gelosia per la sorella che aveva sposato l’uomo che interessava, forse, anche ad Anna. Le restò vicino e la incoraggiò a crescere anche lei. Purtroppo non smise di chiamarla: “la mia bambina” alimentando il conflitto che oggi conosciamo molto bene, tra l’attaccamento e lo sviluppo.
Padre e figlia fecero un viaggio a Venezia nel 1913, quando Anna già 18 anni e lei stessa dichiarò che la sua più grande felicità era stata avere avuto il padre tutto per sé in quel viaggio.
Una specie di viaggio di nozze senza il rapporto sessuale.
Pare che Freud fosse a sua volta felice di questa unione e che lo dimostrasse persino con la gelosia verso il dottor Jones (futuro autore di “vita e opere di Freud”). Jones corteggiava Anna seriamente (anche se forse con un po’ di rivalità nei confronti del suo maestro) e sperava di portarla all’altare.
Nella sua gelosia Sigmund Freud obiettò che Jones, avendo 16 anni di più, era troppo grande per la figlia, ma contemporaneamente chiese che la figlia aspettasse almeno altri cinque anni prima di sposarsi e diede questa incredibile motivazione “Anna non ha ancora desideri sessuali”!!!
Tralasciamo anche in questo caso la sensazione che Freud non gestisse i sentimenti di rivalità verso un uomo già maturo (sostituto paterno?) ma comunque più giovane e più agguerrito.
Molti padri sarebbero contenti di dire che se il padre della psicoanalisi è stato così geloso senza accorgersene, a maggior ragione possono esserlo loro. Ma come sappiamo Freud non ha potuto fare un’analisi personale, essendone l’inventore.
Intanto Anna si appassiona sempre di più agli scritti e al lavoro del padre.
Mentre assiste ad alcune lezioni di Freud sulle nevrosi, rimane colpita dalla psicoanalista Helene Deutsch e comunica a casa la decisione di intraprendere gli studi di medicina.
Freud la dissuade dall’intenzione di diventare medico come se anche questo fosse un pericolo di distacco.
Da quel momento Anna accompagna sempre più spesso il padre ai congressi scientifici e partecipa a molte conferenze di psicoanalisi.
Il loro rapporto diventa sempre più intimo, tanto che Anna racconta al padre i suoi sogni più interessanti e il padre glieli interpreta.
Anna riferisce al padre due sogni in particolare, due incubi: uno in cui diviene cieca e l’altro in cui difende una fattoria di cui è proprietaria assieme al padre, ma nello sguainare la sciabola, che risulta spezzata, ella prova vergogna di fronte al nemico.
Non so se Freud padre interpretò la cecità isterica, la comunione familiare tipica del rapporto muliebre e l’angoscia di castrazione: a noi è arrivato il testo del sogno e non mi pare altro, ma di certo non risultano cambiamenti significativi nel loro rapporto.
Nel 1920 Anna scrisse da Berlino una lettera al padre, in cui manifestò i suoi sentimenti di colpa riguardo al fatto di aver lasciato il posto di insegnante e di essere diventata psicoanalista, cioè di aver sacrificato i suoi obiettivi per amore di lui.
In ogni caso inizia ad analizzare alcuni pazienti e nella primavera del 1922 scrive un articolo di psicoanalisi che spera di presentare nel momento in cui entrerà a far parte della società Psicoanalitica di Vienna, naturalmente appoggiata dal padre che riesce ad inserirla nelle riunioni di psicoanalisi tenute dai suoi amici più intimi. Anna inizia il suo lavoro di psicoanalista con i nipoti Ernst e Heinle, gli orfani di sua sorella Sophie. Ernst si confida con Anna a proposito dei suoi problemi, come la paura del buio o la masturbazione.
Dopo aver presentato finalmente una relazione sulle fantasie di bambini percossi, con l’aiuto e l’appoggio del padre diviene membro effettivo della società Psicoanalitica di Vienna.
La sua vita affettiva si manifesta soprattutto nelle amicizie femminili tra cui spicca quella con Lou Salomé che il padre ammira molto-
Freud si rende conto che l’indissolubile legame che lo unisce ad Anna le impedisce di maritarsi ma questa idea non gli impedisce di rinforzare ancor di più il loro rapporto tanto che dopo la sua operazione il loro rapporto abbraccerà quasi tutti i campi relazionali: cultura, scienza, familiarità e anche il rapporto analista paziente, visto che Sigmund Freud avrà come una delle sue ultime pazienti proprio la figlia Anna.
Aspetti del pensiero di Anna Freud
Nei suoi primi studi Anna rivolge un particolare interesse alla psicologia dell’Io, di cui diremo più avanti, e dal punto di vista terapeutico, teorizza ed applica il trattamento psicoanalitico infantile.
La psicoanalisi infantile suscita molti dibattiti in quanto si ritiene, per lo più, che l’analisi del bambino sia opportuna soltanto in casi di reale nevrosi infantile.
Il problema è che la decisione di sottoporsi all’analisi non parte mai dal bambino, ma sempre dai genitori o da chi gli sta vicino. Anna è dell’idea che sia necessario un periodo preliminare all’analisi vera e propria, volto a rendere il bambino “analizzabile” ovvero pronto a “scontrarsi” con se stesso e con i propri conflitti interiori.
Una tecnica terapeutica spesso usata è quella basata sui sogni proprio perché i bambini hanno la capacità di “razionalizzare” i sogni, mentre il ricorso alle libere associazioni è attuabile solo in alcune circostanze, poiché il bambino rifiuta di operare la sospensione del pensiero cosciente, non comprendendone le finalità terapeutiche. L’ideale di Anna Freud è uno sviluppo armonico, dove siano minimizzati i conflitti tra mondo esterno e mondo interno e delle istanze psichiche tra di loro. Nell’analisi infantile, accanto all’interpretazione dei sogni veri e propri, assume un ruolo importante la fantasia del bambino; molti bambini sono dei grandi sognatori ad occhi aperti.
Il tipo più semplice di fantasticheria è vista come reazione a un avvenimento della giornata, un secondo tipo di fantasticheria, più complicata, è quello a continuazione. Seguendo “a puntate” le loro fantasticherie è possibile pervenire alla situazione interna in atto nel bambino. Un altro ausilio tecnico, accanto all’interpretazione dei sogni e alle fantasticherie, è il disegno in cui il bambino esprime ciò che ha dentro di sé, le sue paure emozionali.
Ma ritornando al discorso sulle fantasticherie diremo che a questo proposito Anna è d’accordo con suo padre riguardo all’importanza che assumono le fantasticherie nell’analisi infantile.
Nel suo pensiero, il rapporto che la psicoanalisi infantile deve intrattenere con la pedagogia, comprende la critica dei metodi educativi in atto, l’ampliamento della conoscenza dell’uomo, l’approfondimento dei rapporti tra bambini ed adulti.
A livello di terapia Anna pensa che la psicoanalisi debba mirare a riparare i danni provocati nel bambino nel corso del processo educativo. A tutto ciò si lega il suo interesse per l’Io e i suoi meccanismi di difesa.
Anna pensa che una situazione pericolosa sia quella in cui elementi della vita reale, entrano in contatto con situazioni o oggetti negativi introiettati nei primi anni di vita, in questo caso si può cadere in una situazione patologica.
Molto più infausta sarebbe la prognosi nei casi in cui i meccanismi di difesa, come ad esempio la proiezione e la introiezione, siano insorti contro l’eccesso delle richieste pulsionali senza l’intervento di alcuna mediazione da parte del Super-Io. In tale situazione non resterebbe che allearsi, a livello terapeutico, con l’Io del paziente cercando in ogni modo di portare a livello cosciente i contenuti dell’Es, senza eliminare le difese dell’Io. Anna ritiene che la costruzione di una completa mappa evolutiva dei meccanismi di difesa, sia un contributo fondamentale per comprendere la psicopatologia dell’adulto.
E’ il 1926 e le condizioni di Freud mostrano alti e bassi. Dal 1924 Sigmund aveva ripreso a rivedere i suoi pazienti tra cui una particolarissima: Anna. I due, ormai diventati inseparabili sia sul piano intellettuale che su quello affettivo, rimarranno uniti fino alla fine.
BIBLIOGRAFIA
“L’Io e i meccanismi di difesa” 1936
“La valutazione della normalità nell’infanzia” che riguarda, in parte, il problema dell’analisi infantile.
“Il trattamento psicoanalitico dei bambini” Boringhieri, 1926.
Gay, P. , Freud , Bompiani, 1988.
Veggetti Finzi, S., Storia della psicoanalisi, Mondadori, 1986.
Veggetti Finzi, S., Psicoanalisi al femminile, Laterza, 1983.
Deutsch Helen
Nata a Przemysl (Galizia) il 9 ottobre1884, ultima di quattro figlie. Si sentì odiata dalla madre e particolarmente amata dal padre , che infatti l’avrebbe sempre tenuta in grandissima considerazione. Attribuì l’odio materno alla delusione che questa aveva provato dopo aver partorito ancora una volta una femmina e si comportò nella vita come figlia prediletta del padre.
E’ morta a Cambrige, negli Stati Uniti, nel 1972.
Laureata in Medicina all’università di Vienna, è stata a prima donna a diventare responsabile del reparto psichiatrico femminile della clinica universitaria diretta da Wagner-Jauregg.
Analizzata da Freud e da Abraham, è stata membro per vent’anni della Società (poi istituto) Psicoanalitica di Vienna.
E’ stata tra l’altro l’analista didatta di Siegfried Foulkes e anche di Viktor Tausk, con cui però interruppe l’analisi poco prima che lui si suicidasse.
Nel 1933 si è trasferita negli Stati Uniti.
I suoi studi più noti sono legati alla psicologia femminile.
Ha approfondito in particolare gli aspetti psicoanalitici dell’identità femminile, e della specificità dello sviluppo psicosessuale della donna (fornendo un inquadramento più articolato ed equilibrato di alcuni aspetti della metapsicologia classica freudiana, che operava marcate asimmetrie e per certi versi era più focalizzata sui processi di sviluppo psicosessuale maschile).
La sua concezione è rimasta sostanzialmente nel solco freudiano e si può così riassumere.
Il masochismo non è una parte perversa della donna ma rappresenta la sua condizione naturale, biologicamente fondata; il culmine del piacere masochistico femminile si compie nell’esperienza del parto.
Nella femminilità il masochismo è la disposizione naturale che caratterizza l’atteggiamento nei confronti dell’uomo.
Forse proprio per il piacere di essere stata la prediletta del padre la Deutsch ha sempre sostenuto che la posizione femminile naturale è di sudditanza affettiva e sessuale verso l’uomo. Questo concetto, molto criticato negli anni del femminismo ma poi rivalutato, ha rappresentato il fulcro del suo lavoro. Soprattutto l’ha spinta a cercare di metterne in evidenza gli aspetti gioiosi e derivati dall’essere stata amata dall’uomo proprio nel delicato periodo della formazione della sua personalità.
L’opera in cui meglio esprime il suo concetto di femminilità è: “Psicologia della donna” (1945) Torino, Borighieri, 1977
Marie Bonaparte
Tra i principali psicoanalisti contemporanei un posto di rilevo va certamente a Marie Bonaparte.
Pronipote di Napoleone Bonaparte, figlia di Rolando Napoleone Bonaparte, è stata un’importante psicoanalista, saggista e scrittrice francese.
Era nata il 2 luglio del 1882 a Saint-Cloud, Francia, è stata principessa di Grecia e Danimarca. E’ morta a Saint – Tropez il 21 settembre 1963. Autodidatta, s’è interessata di medicina e di psichiatria, prima di entrare in analisi ed è poi rimasta appassionata di vari altri campi del sapere. Ad esempio ha collegato arte e psicoanalisi, oltre che psicoanalisi e biologia e psicoanalisi e antropologia: un mosaico di grande valore umanistico
E’ stata paziente di Freud e successivamente sua preziosa collaboratrice.
E’ stata anche una sua grande amica, tanto da anticipargli il pagamento della grande tassa per l’uscita dalla Germania nel 1938, quando Freud aveva deciso di fuggire in Inghilterra.
Anche per merito del suo nome e delle sue grandi risorse finanziarie (oltre al resto, i Blanc, nonni materni, gestivano il casino di Monte Carlo), ma soprattutto per la sua bravura, la sua convinzione e la sua passione per la psiche e i sentimenti delle persone, ha contribuito in modo decisivo alla diffusione della psicoanalisi in Francia.
Nel 1926 fu uno dei membri fondatori della Societé psychanalytique di Parigi, nel 1937 ha sostenuto finanziariamentela fondazione della Revue française de psychanalyse (1927) e dell’Istituto psicanalitico di Boulevard St. Germain di Parigi (1934).
Ha tradotto in francese alcune opere di Freud, oltre ad averne scritte personalmente alcune interessanti.
Ha condotto studi, tra l’altro, su Edgard Alan Poe, arrivando alla conclusione che le figure femminili da lui raccontate nei suoi romanzi fossero le proiezioni del trauma da lui sofferto per la perdita della madre.
Si è occupata di approfondire lo studio della sessualità femminile (De la sexualité de la femme, 1937) e con lo pseudonimo di A.E. Narjani ha pubblicato uno studio sulla frigidità (da notare che per farlo ha dovuto ricorrere ad uno pseudonimo).
Sempre sulla sessualità ha trattato l’aspetto più istintuale in un’opera successiva (Introduction à la theorie des instincts, 1937).
Infine ha tentato un collegamento tra l’indagine psicoanalitica e la biologia con le ultime sue due opere:
(Psychoanalysebiologie, 1952 eEros, Thanatos,Chronos, 1953)
Opere:
FILM