Come scegliere la specializzazione in psicoterapia

Ho contato le sedi delle scuole di specializzazione private, riconosciute Miur, e riguardato le descrizioni che vengono fatte nei siti.
Negli anni settanta si diceva che le grandi teorie psicologiche, conosciute in Italia, potevano essere divise in tre categorie: psicoanalisi, comportamentismo, psicologia umanistica.
Poi c’erano i cosiddetti “selvaggi” (termine originariamente coniato da Freud): erano professionisti che non appartenevano a una sola di queste o non si erano formati con un solo maestro. Sarebbe stato più corretto chiamarli “laici”, ma era conveniente per chi seguiva rigidamente una scuola dare loro questo epiteto, diventato nel frattempo offensivo.
I laici erano a volte impreparati, è vero, perché non avevano fatto alcuna scuola (che all’epoca non era prevista) ma soprattutto non avevano motivazioni per farne. A volte però vantavano una preparazione superiore a quella degli “ortodossi”, data la curiosità che mettevano nello studio di diverse teorie e la passione nel lavoro.
Aggiungo tra parentesi che negli stessi anni 70 fu fatto un convegno a Bo in cui venne presentata una ricerca, che avrebbe dovuto chiarire quale metodo psicoterapeutico si era dimostrato più efficace nel mondo.
In quell’occasione uscì una pubblicazione in cui si contavano circa 550 metodi psicoterapeutici diversi.
Ma venne stabilito che la psicoterapia più efficacia pareva quella fatta dallo psicoterapeuta più esperto. Al di là del metodo usato!

Come stanno le cose oggi? Per certi versi come ieri.
Esiste chi frequenta università e specializzazione con entusiasmo e lavora con passione e chi studia per far presto a passare gli esami.

  • C’è chi è orgoglioso di fare una specializzazione che fornisca un sapere diverso da quello universitario, per arricchire la propria persona di nuova conoscenza;
  • chi non si specializza affatto ma poi in effetti lavora in settori in cui la specializzazione non serve;
  • chi non si specializza ma pretende di passare per specializzato e si difende vantandosi della sua non scelta;
  • chi dice di specializzarsi ma lo fa ripetendo più o meno gli studi universitari, magari con gli stessi professori, limitando così i propri orizzonti.

Va sottolineato poi il fattore “analisi personale”.

  • E’ ritenuta indispensabile dalle scuole che cercano le cause inconsce dei sintomi e propongono soluzioni radicali per modificare la personalità acquisita;
  • Viene ignorata totalmente dalle scuole che non riconoscono l’ingerenza dell’inconscio sulla psicoterapia e sulla vita.
  • Viene solo suggerita dalle scuole che riconoscono assolutamente l’importanza dell’inconscio, ma, con lucido pragmatismo, si preoccupano di fornire l’iter formativo anche a chi non ha i mezzi per pagare sia l’analisi che la Scuola. Salvo impegno a farla successivamente.
  • Infine ci sono scuole che forniscono un certo numero di ore d’analisi, individuale o di gruppo, all’interno del piano di studio. Questa sarebbe solo un’introduzione fatta per avviare all’analisi vera e propria, successiva alla scuola.
  • Oppure altre che utilizzano la supervisione per analizzare il contro-transfert, ancora una volta come introduzione all’analisi personale successiva.

Va comunque sempre distinta l’analisi (abbreviativo di psicoanalisi), in quanto metodo d’indagine profonda su se stessi, da altre forme di psicoterapia che mirano a modificare il comportamento, usando la capacità di pensare e la volontà cosciente di agire nella realtà.

Ma veniamo ai dettagli delle Scuole.
Alla fine della mia indagine le ho divise in 4 aree.

Area psicodinamica, con 94 sedi di corso
Area cognitiva, con 228 sedi di corso
Area psico-neurologica, con 8 sedi di corso
Area espressivo-corporea, con 69 sedi di corso

Il metodo di divisione in aree, parte da due considerazioni:

  • la prima riguarda l’importanza che viene data alla produzione mentale: o all’inconscio, di risolvere un disequilibrio psichico causa di sintomi vari, oppure al pensiero cosciente di modificare un sintomo.
  • La seconda tiene conto della decisione di utilizzare il corpo reale, sia a quello riportato nei dettagli del cervello, sia a quello esibito su una scena o manipolato, per incidere sulla chimica, sulle emozioni, sui sintomi psicosomatici, sull’equilibrio energetico, sulle relazioni interpersonali.

Ultimamente sono di molto aumentate le proposte d’integrazione tra diverse teorie e questo risponde certo alle nuove e più meritevoli esigenze di conoscenze più ampie, però rende un più difficoltoso riconoscere l’appartenenza ad un’area piuttosto che a un’altra.
Un segno distintivo di queste scuole è che la parola integrazione si riferisce quasi sempre a parziale unione di metodi appartenenti ad una sola delle grandi aree descritte prima.
Va posta molta attenzione a questo particolare.
E’ meno facile sbagliare se si tiene presente la prevalenza teorica e pratica, così come l’ho impostata sopra.

Un elemento che ho volutamente trascurato è l’obiettivo, con cui si caratterizzano alcune scuole, perché nella pratica professionale viene poco considerato.
Per esempio non è affatto raro che uno specializzato in psicoterapia della famiglia prenda in carico singoli individui, invece di un nucleo intero come vorrebbe il titolo.
La nostra professione non ha la caratteristica tipica di quella medica, di distinguere gli specialisti per sintomo. Credo che col tempo cercheremo di mettere ordine nel nostro caos di specializzazioni ma per ora in Italia vale tutto. Vale che uno si laurei in psicologia del lavoro e finisca per fare lo psicoterapeuta psicanalitico. E viceversa.

Come fare allora a scegliere la scuola di specializzazione?
In questo articolo ho indicato una strada: fare la divisione nelle 4 aree che ho indicato e sottolineare la prevalenza teorico-pratica.
Ricordate il principio: tutti i metodi che chiedono alla persona di risolvere un disequilibrio ragionando, appartengono all’area cognitiva comunque si chiamino. Anche se propongono esercizi di allenamento per modificare il comportamento.
Tutti questi metodi considerano esclusivamente la realtà
.

A quel punto fatevi una domanda: che cos’è un disequilibrio?
Prendiamo un sintomo d’ansia: che cosa spinge una persona a prevedere un pericolo che nella realtà del momento non esiste? Una fantasia, direte. Certo, ma la persona costruisce volontariamente quella fantasia che la farà sentire in pericolo? Certamente no, basta parlare con pochi ansiosi per rendersene conto. Dunque nessuno potrebbe chiedere a quella persona di usare uno strumento cognitivo per eliminare uno stato che si nutre di fantasie non regolate dal pensiero cosciente.
Non è logico.

Qualcosa di simile succede per i casi opposti.
Tutti i metodi che ricercano la formazione del disequilibrio e dei sintomi nelle cause inconsce (materiale latente, cioè frutto di rimozioni mal riuscite) sono di area psicodinamica, comunque si chiamino.
Queste tecniche hanno bisogno di tempi lunghi per passare attraverso le resistenze del paziente, fargli vedere come mai la realtà viene deformata e fargli sperimentare, attraverso il transfert, modelli affettivi corretti.
Vale dunque la domanda fatta prima, ma al contrario.
Se una persona soffre di un sintomo che le rende la realtà momentaneamente ingestibile, le potete chiedere il tempo per intraprendere una lunga analisi?
Non è corretto.
Anche se un sintomo potrebbe scomparire nel momento stesso in cui la persona si sente sorretta e non è affatto detto che  ci metta anni per passare, lo psicoterapeuta cosciente deve utilizzare il metodo più veloce possibile per restituire alla persona la migliore condizione di vita.

Allora quale scuola è meglio scegliere?
Un momento, mancano ancora quelle che utilizzano più specificamente il corpo.
Queste si dividono a loro volta in:

  • psico-neurologiche, che studiano il cervello e prevedono d’intervenire direttamente sulle parti minimamente compromesse, attraverso comportamenti ricondizionanti il funzionamento chimico. E’ chiaro che utilizzano un solo aspetto della persona, anche se indubbiamente importante.
    Mancano palesemente l’esperienza emozionale e anche quella più cognitiva, più filosofica. Due componenti difficili da sottovalutare nella vita.
    Le psico-neurologiche hanno un’impostazione rigida. Con il merito di spiegare il funzionamento chimico meccanico dell’organo che comanda l’intero organismo. Con il limite di mettere quell’organo alla base di ogni reazione emotiva e mentale. Questo non permette di considerare la singola tendenza naturale, non genetica, come una condizione del successivo comportamento né le relazioni interpersonali come provocazioni affettive spesso determinanti nel forgiare il carattere.
    Del resto Freud è partito proprio dalla neurologia prima di capire che non sarebbe bastata. E adesso si stanno formando associazioni di neuro-psicoanalisi!!
  • bioenergetiche, che lavorano sul ripristino dell’energia vitale attraverso esercizi di respirazione e di movimento.
    La bioenergetica è sicuramente affascinante nella sua versione originale, considera un altro elemento essenziale del vivere: la respirazione e il fluire dell’energia in modo uniforme sull’intero corpo. C’è da dire che si aggancia alla psicoanalisi, ma la tratta più come teoria da leggere, che come esperienza da vivere. C’è un motivo valido per questo, come ho spiegato in diversi altri articoli,
  • espressive, che stimolano la creatività e ricercano la spontaneità come valore originario della persona.
    Le scuole espressive si scelgono spontaneamente per tendenza creativa e ubbidiscono ad un principio che è riconosciuto da tutti: il ritorno alla spontaneità, cioè alla condizione originaria, post nascita. Purtroppo la tendenza è a trascurare troppo la metodologia più scientifica e quella più profonda. A quel punto diventa quindi particolarmente importante, per chi deve scegliere, l’esperienza e la preparazione dei “maestri”.
    E’ quell’esperienza, che permette di tracciare percorsi psicoterapeutici precisi, mantenendo come obiettivo il ritorno alla spontaneità più accettabile in una determinata situazione. 

Fatta questa divisione completa, che penso riduca moltissimo il caos della scelta sull’elenco del MIUR, vi manca la domanda più importante.
Quella decisiva.
Serve ancora una breve premessa: suppongo che vogliate tutti appartenere alla categoria di chi lavora con passione, quindi con piacere, anche per non diventare depressi in pochissimo tempo.
Suppongo che abbiate abbastanza orgoglio per voler diventare bravi anche agli occhi del mondo e che vogliate ammetterlo ogni giorno davanti al vostro immaginario specchio.
Pensate che sarebbe più facile soddisfare queste due condizioni seguendo un bisogno acquisito oppure cercando di seguire la vostra tendenza naturale?
Per chiarire meglio: se per bisogno acquisito intendiamo la somma delle regole e dei condizionamenti della famiglia e dei suoi sostituti, mentre per tendenza naturale intendiamo il carattere che avremmo senza quei condizionamenti, che cosa vorreste soddisfare?

La risposta sembra scontata. Il punto è che non tutti conoscono veramente la propria tendenza naturale e pochi si preoccupano di farsi aiutare a conoscerla prima di fare la scelta della scuola.
E’ vero che durante la vita si può sempre cambiare, ma quando uno si è imbottito di una certa teoria e si è convinto che vada bene, ha bisogno di una dose particolare di curiosità (e di delusioni) per imboccare un’altra strada.

Si potrebbe risolvere abbastanza bene il problema scegliendo una scuola aperta, che davvero dia le basi per lavorare con più strumenti: con quello più profondo innanzitutto (quello che riconosce l’inconscio); con quello che non riconosce l’inconscio ma è il più vicino agli studi fatti in università (cognitivo); infine con quello che riconosce l’importanza del corpo reale e lo utilizza per arrivare alla psiche e alla mente.

L’ultimo importante ostacolo da superare è quello di riconoscere le scuole che parlano in teoria anche dell’inconscio da quelle che propongono di conoscerlo nella pratica. La differenza assomiglia a quella di chi vi descrive un ottimo rapporto amoroso rispetto a chi vi propone di viverlo. Oppure di chi vi parla di un bellissimo menù rispetto a chi v’invita a cena, Fate voi.
Essendo l’inconscio una componente sconosciuta, cioè rimossa per cause emotive, solo chi sperimenta il percorso pratico può dire di saperne qualcosa.
Non esiste la stessa difficoltà ovviamente per tutte le scuole di tipo cognitivo perché si basano su una componente cosciente, cioè non rimossa ma palese e conoscibile con il solo ragionamento.

Conclusione.

Scegli la scuola seguendo cinque criteri fondamentali:

  1. rispetta la tua tendenza naturale: lavorerai più volentieri e meglio;
  2. conosci profondamente te stesso se vuoi riuscire a comunicare qualcosa di vero ad un altro;
  3. la professione di psicoterapeuta ti porterà a lavorare con persone differenti e casi molto diversi tra loro: scegli una scuola che ti dia sia la profondità della conoscenza sia la praticità;
  4. se ti è possibile cerca un po’ di gioia in quello che farai, altrimenti sarà durissima l’esperienza quotidiana;
  5. infine ricorda che l’essere umano ha le emozioni, ha il pensiero e ha un corpo. Se dimentichi una componente, zoppichi.