Moreno ha scelto la scena teatrale per facilitare l’esternazione del materiale interiorizzato, come ha scelto il gruppo per raccoglierlo ed elaborarlo.
Siamo agli antipodi rispetto a Freud, ma proprio per questo il setting gruppale va scelto anche in base alla variabile “introversione acquisita”, come ha suggerito Rapaggi, perché la teatralità non diventi dannosa e la spinta narcisistica non prevalga a danno dello scopo terapeutico.
Il teatro di psicodramma si presenta come un ambito ben definito, capace, secondo Moreno, di creare uno stacco dall’usuale ambiente di vita, pur rappresentandolo. Lo stacco è tra dentro e fuori, ma anche tra essere sul palco ed essere tra il pubblico.
“All’interno del procedimento psicodrammatico…il protagonista non si limita a sdraiarsi o a sedersi. Si muove, agisce, parla, proprio come fa nella vita. Alle volte non è impegnato a fare nulla,…solo ad essere. Lo scenario in cui si svolge la sua esistenza può essere a volte strutturato rigidamente, come la realtà sociale che lo circonda, oppure può essere irreale come un sogno o può prendere l’aspetto allucinatorio del mondo di un folle…”
“A volte può essere lo spazio della logica della realtà, altre volte quello della logica interna della fantasia, o infine un posto per le esperienze che vengono dalla non logica e dalla non esistenza…Il palcoscenico psicodrammatico… può anche avere strutture che nella realtà non esistono. È l’habitat naturale della spontaneità”. (Moreno “Manuale di Psicodramma” a cura di O. Rosati, Astrolabio )
Il setting è la scena, il palcoscenico, più l’arredamento e gli altri oggetti, più le luci e la musica, più “gli agenti psicoterapeutici” (Moreno, ibid.) ovvero lo psicoterapeuta (director), gli Io-ausiliari e il pubblico, più l’azione, cioè l’incontro del director e del protagonista nel gioco all’interno del gruppo.
Il setting è uno spazio che si moltiplica e si apre allo psicodramma. E’ l’insieme di oggetti, ma è anche l’ambiente dell’incontro, quello che cambia, rappresenta, raccoglie, facilita, risponde e ristruttura. E’ un ambiente complesso, ricco, movimentato, dove interagiscono realtà, irrealtà e semirealtà.
Nella maggior parte di modi di condurre lo psicodramma psicoanalitico, il setting è meno complesso e più statico, perché prevale la parola anche in questo ambiente d’azione. Nel nostro modo di condurre, invece, il setting ha tutta la ricchezza dell’ambientazione moreniana, più gli arredi necessari alla libera espressione del corpo in senso bioenergetico, più l’atmosfera necessaria a sottolineare la forza interpretativa della psicoanalisi.
Nel setting dello psicodramma ci sono altri elementi importanti, che lo rendono unico.
Lo psicodramma è un metodo estremamente duttile, un contenitore capace di raccogliere altre metodologie già sperimentate, oltre ai gesti creativi espressi al momento. Chi l’ha sperimentato dopo aver conosciuto e praticato altri metodi, anche molto più noti in passato, ne ha avuto la prova. La sua duttilità permette al regista di dargli una propria impronta, frutto delle proprie tendenze e della propria esperienza.
Per questo l’ortodossia non è consigliabile, anzi è un vero controsenso.
Lo psicodramma è spontaneità e creatività, l’ortodossia è il loro contrario. Chi pretendesse il rispetto di schemi, che sono stati dati come ipotesi di traccia e non come norma rigida, si troverebbe a mal partito.
Spontaneità e creatività sono le regine del setting dello psicodramma, anche di quello psicoanalitico, anche e soprattutto dello Psicodramma “Mosaico”. Entrambe queste caratteristiche sono indispensabili all’analista, che può trasferirle al gruppo solo se le possiede veramente.