Nota:
Questo articolo, di Alfredo Rapaggi, trae origine dai convegni organizzati dall’Istituto Mosaico Psicologie di Bologna in collaborazione col Centro di Psicoanalisi della Coppia e della Famiglia che ha sede a Rimini.
In questo spazio ne vengono pubblicate parti successive
A quei convegni hanno relazionato, tra gli altri, JeanJose Baranes, Alberto Eiguer, Giorgio Cremonini, Alfredo Rapaggi.
Premessa
Nell’ormai lunga tradizione dell’Istituto Mosaico Psicologie, c’è questo appuntamento periodico in cui si riassume il lavoro scientifico fatto nel corso dell’anno, ci si confronta con esperti d’altri luoghi, o d’altre scuole di pensiero, e infine si gettano le basi per il lavoro futuro.
Forse per questo i titoli dei convegni diventano sempre più lunghi e insieme più condensati: perché gli anni che passano ci portano conoscenze ed esperienze nuove e noi le riproponiamo in queste occasioni, cercando di farne la sintesi in un titolo. Un po’ come si fa nello psicodramma, quando il gruppo è chiamato a dare un titolo al lavoro del protagonista, per fargli capire che cosa è riuscito a comunicare.
Riconosciamo che potreste correre il rischio di perdere in curiosità, nel trovarvi qui, ad ascoltare risultati che sembrano simili a quelli dell’anno precedente, ma ci auguriamo che non sia così. In effetti, se è vero che un convegno non avrebbe molto senso se non proponesse relazioni innovative, è altrettanto vero che in questo tipo di ricerche, basate per lo più sull’osservazione dei casi, e sulle conseguenti riflessioni, le variazioni nella teoria, e nella proposizione della pratica, sembrano minime, quando vengano considerate singolarmente.
In fondo è un po’ ciò che succede nel percorso psicoanalitico, più marcatamente visibile nel setting individuale, dove l’evoluzione passa attraverso momenti che paiono di stasi e momenti in cui invece è palese un atto creativo, un insigt, una crescita.
A volte noi stessi abbiamo l’impressione di trovarci fermi, nonostante conosciamo che razza di spinta creativa ci abbia sempre caratterizzato. Ricorrendo ad una metafora, ci troviamo a volte come appisolati sulla poltrona di un comodo, silenzioso treno, un treno che viaggia veloce. Ma noi siamo all’interno e vediamo solo che tutti, lì vicino, sonnecchiano, o leggono il loro giornale, o ascoltano musica, o usano il loro mini portatile, o parlano tranquillamente come in un salotto di casa: il salotto di una bella e solida casa, dalle fondamenta ferme e sicure. Non abbiamo certo l’impressione di muoverci, di sfrecciare da un paese all’altro. Ci comportiamo come se fossimo davvero in un salotto, o al bar, a sedere, a leggere, o parlare, o scrivere. E così finché non gettiamo lo sguardo fuori, oltre il finestrino.
Ecco, un convegno può rappresentare il momento in cui si guarda fuori, come fuori dal treno, e ci si accorge che ci si sta muovendo, e si può vedere anche a che velocità si sta andando. Passo, passo, o chilometro dopo chilometro, si va avanti, raggiungendo e superando le varie stazioni: quelle della teoria precedente e ancor di più quelle dell’esperienza; si punta sempre al traguardo successivo, e se lo si raggiunge si pensa subito a quello che potrebbe esserci dopo, in un viaggio interminabile, ma molto suggestivo, che dura quanto e più della vita di ognuno di noi.
E’ la nostra missione, il nostro lavoro e insieme la nostra più grande soddisfazione.
Sappiamo di non poterlo dimenticare mai, altrimenti rischiamo di ridurre le nostre giornate ad una successione di pensieri e azioni pesanti, suggestionati dai racconti dolorosi dei nostri pazienti, in continuo pericolo di allearci alle loro nevrosi, alle loro angosce, alle loro depressioni. La nostra reazione dev’essere sempre quella dello scienziato, impegnato a vincere sulle forze psico-distruttive che vediamo agire nei pazienti.
Info sull'autore