NOTA: prosegue l’articolo di Alfredo Rapaggi che riguarda il corpo nello Psicodramma Analitico Integrato
Dobbiamo guardare il lavoro dei nostri migliori colleghi psicoanalisti e cercare di utilizzarlo come gradino per salire oltre il presente clinico.
Questo punto di vista, che sembra quasi banale, non è per niente scontato in molti settori della psicologia, dove il protagonismo ostacola l’aiuto reciproco e frena la corsa verso il progresso, dove le divisioni sembrano addirittura funzionali al misero successo di una piccola idea, dove spesso l’auto-glorificazione assorbe le migliori energie e impedisce che si realizzi la ben più preziosa collaborazione.
Eppure, quasi tutti gli altri settori della scienza vanno avanti conquista dopo conquista, appoggiandosi ai lavori precedenti per produrre nuove scoperte.
Così devono abituarsi ad andare avanti anche le psicologie, compresa la psicoanalisi: devono uscire dai loro orticelli, difesi spesso con troppo narcisismo, e confrontarsi creativamente con i vicini, con tutti, anche con quelli di scienze che sarebbero attigue, con quelli che dovrebbero essere alleati e che magari fino a ieri, o ad oggi, si fossero comportati da avversari.
Sono testimone che in Italia, per trent’anni almeno, questo confronto è stato molto difficile, troppo spesso non facilitato da chi, vedi mondo accademico, avrebbe il compito di catalizzare gli elementi tra loro, per produrre la nuova materia, o da chi, vedi Società di Psicoanalisi, pareva aver dimenticato il desiderio di scoperte e di diffusione del suo fondatore, o ancora da chi, vedi mondo medico, ha visto nelle nuove possibilità della psicosomatica una temibile concorrente.
In ogni caso qualcosa si è fatto, soprattutto lo si è fatto nella direzione d’integrare il corpo reale con la psiche. Credo di non sbagliarmi se osservo che una spinta notevole, e forse imprevedibile, è arrivata da gruppi attigui alla psicologia, sia dalla sempre più numerosa schiera di pseudo psicologi che si danno da fare nel variegato mondo della new age, sia da quello delle filosofie-religioni che lo compongono o lo circondano, sia dalle nuove professioni vicine alla fisioterapia. Vi si sono aggiunti, dopo l’istituzione delle facoltà di psicologia, giovani psicologi, a cui la scarsa informazione, l’inesperienza, la giovane età e il desiderio di ottenere subito un successo, toglieva la capacità di scegliere la strada professionale più giusta tra quelle che avrebbero potuto conoscere.
Il mio cantautore preferito dice, in una nota canzone: “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. (Fabrizio De André “Via del Campo”) E’ certamente una frase ad effetto, senza sfumature, d’un assolutismo che può usare solo un poeta, il cui senso però mi permette un’associazione significativa con l’argomento che sto trattando. Credo infatti che sia giusto notare, con spirito abbastanza obiettivo, che la richiesta di dare maggiore importanza al corpo reale è venuta proprio dai colleghi meno ortodossi, visti un po’ come figli di nessuno dalla Società di Psicoanalisi. E’ anche vero che tra loro c’era chi poco sapeva di Freud, ma forse proprio per questo era più libero di creare, di allargare le possibilità psicoterapeutiche, anche cercando strade nuove. In ogni caso possiamo dire che si sia trattato di una richiesta popolare, la richiesta non ragionata di una popolazione desiderosa di conoscersi meglio e di essere assistita, o evitando le complicazioni di un coinvolgimento impegnativo come quello psicoanalitico, oppure convinta di poterlo completare. Potremmo anche accettare che spesso si sia trattato di persone poco disposte a mettersi in discussione, ma la richiesta non era difficile da leggere, era palese: riprendere contatto con i corpi umani che la società aveva già isolato, censurato,vestito di maschere tanto luccicanti quanto fredde e fasulle.
C’era l’esigenza di riappropriarsi del contatto che i corpi avevano vissuto nella prima esperienza di vita, con o senza la successiva conseguenza genitale, quella di mostrare e toccare i corpi veri nelle loro espressioni affettive ed emotive, spesso a danno di una certa componente umana, per esempio della possibilità di utilizzare le fantasie, che la psicoanalisi invece esalta. Quasi che il corpo reale dovesse rappresentare solamente un bisogno più spontaneo, più istintuale, e fosse chiamato a contrapporsi al pensiero, non a completarlo, e il pensiero a sua volta fosse visto come un elemento troppo articolato, complesso e controllato, per essere vissuto come vero.
O addirittura, sul piano ideologico, quasi se una psicoterapia, o semplicemente una pratica, più corporea fosse più adatta ad una classe psicologicamente meno istruita, e magari anche meno abbiente.
Quando frequentavo l’università, quella che è ritenuta ancora oggi la principale in Italia, Wilhem Reich era sconosciuto agli studenti, o conosciuto come una cometa passata dalla Società di Freud e presto espulsa per inadeguatezza. Ci pensò un gruppo del “movimento studentesco” ad esaltarne la figura, ma lo fece perché voleva un proprio simbolo da contrapporre a Freud, ritenuto troppo serioso, distaccato e borghese e preso a vessillo di una cura elitaria. Il Reich del movimento studentesco era importante soprattutto perché rivoluzionario e comunista e perché i suoi scritti avevano un linguaggio forte, al limite dell’esaltazione. Ma in questo modo il buono delle sue teorie veniva falsato e infatti si disperse praticamente dopo gli anni ’80.
Del suo allievo Lowen, che del comunismo mi pare non sapesse niente, nessuno comunque mi aveva mai parlato prima della laurea. Di lui e del suo maestro imparai molto spinto dalla curiosità e dovetti andare a Roma per conoscere lui e per trovare qualcuno in grado d’insegnarmi le loro tecniche.
Quanto alla Gestalt era studiata come psicologia della forma, ma non come pratica psicoterapeutica.
Ho Citato tre esempi di psicoterapie, e terapie, che trattano il corpo reale, senza per ora entrare nel merito della loro efficacia e dei loro limiti.
Ad onor del vero neanche il grande padre della psicoanalisi poteva dirsi di casa, nella stessa università, nonostante Padova sia più vicina all’Austria che all’America, e nonostante che la maggior parte degli studenti fosse arrivata a psicologia proprio perché vagamente attratta dalle teorie di Freud, ma almeno aveva l’onore di un suo corso e di un docente molto preparato, benché naturalmente troppo chiuso.
Alla fine, il tentativo di cercare nuove strade, mantenendo però la costruzione psicoanalitica, è stato fatto ugualmente, e questo è l’aspetto positivo. E’ vero che si è realizzato in modo un po’ confuso, e qualche volta dannoso per i motivi detti sopra. Però si è fatto.
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