Alfredo Rapaggi
Ci sono momenti in cui fare la professione dello psicoterapeuta-psicanalista diventa particolarmente difficile: sono i momenti più intensi, paradossalmente, quelli in cui la vita personale dello psicanalista è orientata decisamente verso la passione amorosa, verso l’esplosione della parte più gioiosa della vita.
In quei momenti il divario tra la felicità dello psicoanalista e l’angoscia portata dai pazienti diventa molto o troppo grande. Da un lato si potrebbe obiettare che ogni paziente, in particolare chi sta peggio, ha bisogno di un contraltare affettivo che compensi le proprie carenze, e va bene, dall’altro però lo stesso tipo di paziente non sopporta di vedere uno stato troppo diverso dal suo. Le due condizioni opposte si combattono, sono esattamente l’espressione del conflitto nevrotico, e più il divario è grande più grave diventa il disturbo. In quei momenti lo psicoanalista si trova davanti a un bivio: adattarsi al dolore che vive il paziente, alleandosi magari alla sua componente autodistruttiva e mortifera, oppure allontanarsene e scegliere il godimento naturale che la vita gli offre. Possibile una mediazione? Naturalmente si, certo, è quello che si fa ogni giorno, quando si cerca di sradicare le angosce e trasformarle in fiducia, solo che certe volte è molto più difficile. In quei momenti si può capire la voglia dello psicanalista di avere una sorta di bacchetta magica che invada di luce il cervello del paziente e risistemi l’equilibrio chimico dei suoi neuro trasmettitori.
Per questo forse, da qualche anno sono un appassionato sostenitore della necessità che la psicanalisi e le neuroscienze collaborino strettamente, abbandonando le inutili, anzi dannose, rivalità narcisistiche. Non c’è una scienza più importante dell’altra, non può esserci una disciplina che merita l’altare e una gettata nella polvere, se entrambe lavorano seriamente, e da lungo tempo, a favore dell’essere umano: ci dev’essere solo la voglia di ottenere dei risultati il più velocemente possibile. Per uno psicanalista appassionato, il mondo delle neuroscienze dev’essere affascinante come lo è un motore di formula uno per un pilota professionista. L’uno ha bisogno dell’altro dunque deve conoscerlo, ma questo non vuol dire che debba sentirsi esperto quanto lo è chi ci lavora in modo specialistico, né che uno debba sentirsi più utile o più bravo. La collaborazione è conoscenza e rispetto. E porta le gioie finali di risultati sempre più importanti.
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