Il collega Gigi De Marchi, psicoterapeuta reichiano e precursore italiano della bioenergetica, scomparso da poco, chiamerebbe “Psicopolitica” questa mia riflessione. Era un emotivo, Gigi, tutt’altro che neutrale nei suoi ragionamenti sul potere. La sua natura “orale” unita alla sua simpatia per lo psichiatra rivoluzionario Reich, faceva di lui uno strano ribelle, delicato nei modi e tagliente nelle parole. Penso che mi permettesse di vedere, come in uno specchio psicodrammatico, gli effetti della passionalità infantile sulle valutazioni sociali. Per rendere più completa la mia riflessione, chiedo dunque altri due aiuti: il primo ad un altro collega, il primo e più famoso psicoanalista, Sigmund Freud, che mi aiuti ad indagare più a fondo la psiche umana anche nelle sue relazioni sociali, il secondo aiuto lo chiedo ai nostri antenati, antichi romani, per capire la strategia del potere, di cui erano certamente maestri.
La psicoanalisi deve interessarsi del contesto in cui si creano le nevrosi, sia del contesto familiare, sia di quello sociale, ma deve interessarsene partendo dalle profonde conoscenze che ha della psiche, della mente e dei conflitti che vi si creano. Quello che sta succedendo in Italia vede la popolazione sempre più divisa in modo netto, in maniera sempre più rancorosa. A discapito dell’obiettività sta salendo la componente emotiva. Ed ecco che si chiariscono le due posizioni: quella di chi s’identifica col padre e quella che vi proietta la propria rabbia. Quella di chi s’identifica col persecutore e quella di chi annega nella paranoia. Le posizioni si fanno estreme, con manifestazioni che ogni osservatore rimasto abbastanza sereno trova grottesche. Vuol dire che i principali meccanismi di difesa stanno saltando ai protagonisti dello scontro: a chi lo crea, a chi lo fomenta e a chi vi si identifica.
Alfredo Rapaggi
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