Sinergie d’interventi di fronte alle situazioni di crisi

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Sinergie d’interventi di fronte alle situazioni di crisi

Ospitare il trauma. Sinergie di interventi di fronte alle situazioni di crisi.

SEGNALAZIONE

Vorremmo soffermarci su questa notizia apparsa ripetutamente sul web (e consultabile su vari indirizzi, tra cui

http://www.entrainfarmacia.it/COMUNICATI_STAMPA/agopountura_ant;

http://www.0564news.it/notizia.asp idn=14690;

http://test.cybermed.it/index.php?option=com_content&view=article&id=30410%3Alagopuntura-come-integrazione-del-percorso-terapeutico-per-i-sofferenti-ant&catid=1106&Itemid=1107&lang=en)

non per metterne in discussione il contenuto, ma per cercare di ampliarne il punto di vista. Di fronte alla sofferenza fisica e psicologica di una persona ammalata e dei suoi cari, di fronte cioè ad una vera e propria situazione traumatica di crisi, ogni iniziativa volta ad alleviare o a farsi carico di tale condizione è sempre la benvenuta. Ciò che conta è poter offrire l’aiuto più adatto al momento richiesto, rispettando l’ottica di chi questo aiuto sta per riceverlo, consapevoli del fatto che a volte non è possibile “aiutare”, ma solo accompagnare una persona nel suo doloroso percorso.

ARTICOLO ORIGINALE

L’agopuntura come integrazione del percorso terapeutico per i sofferenti ANT

10 marzo 2011 Attualita’, Scienza e medicina

A partire dal mese di aprile, la Fondazione ANT Italia Onlus offrirà agli assistiti di Bologna e provincia la possibilità di usufruire gratuitamente di trattamenti di agopuntura come supporto alle tradizionali terapie oncologiche, grazie alla convenzione stipulata con l’Associazione per la Medicina Centrata sulla Persona Onlus di Bologna. Il progetto rappresenta un passo avanti nella sinergia tra la Biomedicina e le Medicine Tradizionali e Non Convenzionali. L’Agopuntura (l’Assemblea Generale dell’UNESCO, United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization, ha inserito l’Agopuntura Tradizionale Cinese e la Moxibustione Tradizionale Cinese, due tra le branche più note della Medicina Tradizionale Cinese, nell’Elenco del Patrimonio Immateriale Intangibile dell’Umanità) abbinata alle cure farmacologiche e psicologiche già offerte da ANT, permetterà ai pazienti di essere sottoposti a un approccio terapeutico centrato sulla persona che consente un’assistenza completa e più efficace per il controllo di alcuni sintomi. La convenzione è attiva su tutta la provincia di Bologna ed è rivolta ai pazienti ANT che per caratteristiche cliniche possano beneficiare del trattamento con l’agopuntura. I medici dell’Associazione per la Medicina Centrata sulla Persona Onlus effettueranno le sedute di agopuntura inizialmente presso la sede centrale di ANT, l’Istituto della Solidarietà, delle Scienze e del Volontariato oppure direttamente al domicilio del Sofferente. Il progetto prevede inoltre una serie di attività d’informazione e formazione sulle Medicine Tradizionali e Non Convenzionali rivolte al personale medico di ANT ed espletate dall’Associazione per la Medicina Centrata sulla Persona Onlus.“Ringrazio il dottor Paolo Roberti di Sarsina, Presidente dell’Associazione per la Medicina Centrata sulla Persona Onlus, per averci proposto questa nuova collaborazione – afferma il professor Franco Pannuti, Presidente della Fondazione ANT Italia Onlus. Assicurare l’Eubiosia, la dignità della vita, è la missione che la nostra Fondazione porta avanti da oltre trent’anni: crediamo che anche l’agopuntura – le cui basi scientifiche sono universalmente riconosciute – possa essere un supporto efficace per i nostri Sofferenti da integrare al percorso terapeutico farmacologico. Ci auguriamo che in futuro il progetto possa essere esteso a tutte le Regioni in cui ANT è presente”.“Ringrazio il professor Franco Pannuti, Presidente della Fondazione ANT Italia Onlus, – afferma il dottor Paolo Roberti di Sarsina – per l’entusiasmo col quale ha accolto la mia proposta. L’azione della Onlus vuole contribuire a fare sì che al centro della relazione medico-paziente sia posta la «narrazione» del paziente. La Medicina Centrata sulla Persona è medicina umanistica antropologicamente e scientificamente fondata; ha una visione unitaria dell’essere senziente e quindi è totale, aprioristico riconoscimento e rispetto della dignità di ogni essere umano e quindi della sofferenza fisica, psichica e spirituale. Nella nostra azione ci avvaliamo anche della saggezza e conoscenza delle Medicine Tradizionali e Non Convenzionali”.

L’attività della Fondazione ANT Italia Onlus rappresenta la più ampia esperienza al mondo di assistenza socio-sanitaria domiciliare gratuita ai Sofferenti di tumore. Da 1985 ad oggi (dato aggiornato al 31 dicembre 2010) ANT ha assistito oltre 80.000 Sofferenti, 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno, in modo completamente gratuito per un totale di oltre 13 milioni di giornate di assistenza erogate. I Sofferenti assistiti nei 20 Ospedali Domiciliari Oncologici ANT (ODO-ANT) presenti in 9 regioni d’Italia sono più di 3.300 ogni giorno. Si tratta di un’assistenza specialistica effettuata da 400 professionisti tra Medici, Infermieri, Psicologi, Nutrizionisti, Fisioterapisti, Operatori socio-sanitari, Farmacisti e Funzionari che portano al domicilio del Sofferente e alla sua Famiglia tutte le necessarie cure di tipo ospedaliero e socio-assistenziale. A ciò si associa un programma di assistenza economica alle Famiglie indigenti che abbiano un congiunto in assistenza domiciliare. ANT non è solo assistenza, ma anche Prevenzione: ad oggi sono più di 32.000 le visite di prevenzione gratuite realizzate dalla Fondazione ANT in 32 diverse province nell’ambito del progetto Melanoma. La Fondazione porta inoltre avanti progetti di ricerca e attività di formazione rivolta ai volontari e ai professionisti.

COMMENTO REDAZIONALE A CURA DELLA DR.SSA ILARIA FABBRI

Quando ho letto di questa lodevole iniziativa, ho pensato subito di rispondere parlando di un’altra realtà che dispensa, ormai da anni, varie forme di aiuto gratuito nella città di Bologna. Si tratta dell’Associazione Culturale Rivivere che comprende al suo interno il “Progetto Rivivere” attivo fin da Novembre 2005. Questo progetto prevede un servizio continuativo di aiuto psicologico di base e specializzato per tutte le persone che stanno vivendo un periodo di grave crisi psicologica, dovuta per esempio ad una malattia, un lutto, una separazione o alla perdita del lavoro. L’approccio teorico e clinico dell’Associazione Culturale Rivivere deriva dall’esperienza e dalle ricerche del Professore Francesco Campione, oltre che dalla realistica constatazione che sul territorio esistono già svariate e importanti forme di aiuto significative dal punto di vista dell’assistenza pratica e materiale, tuttavia non sufficienti a sopperire al reale bisogno psicologico delle persone in crisi. Tra le alternative possibili per fare fronte alla crisi psicologica, due sembrano infatti essere oggi quelle maggiormente quotate: farsi guidare da una tecnica (più o meno scientifica, ma troppo spesso purtroppo derivante da movimenti new age e promossa da telegenici guru) oppure cercare di sottrarsi alla crisi, distraendosi o cercando l’oblio. E se questo non dovesse bastare? Può arrivare un momento in cui nessuna tecnica, neanche la più efficiente o la più originale e fantasiosa, serve per stare meglio, così come può arrivare il momento in cui non si riesce più a indietreggiare di fronte alla crisi, in cui non è più possibile pensare ad altro o fare finta di niente. Tuttavia, proprio in quel momento, è possibile cercare una via per “rivivere” condividendo con altri la cultura dell’aiuto, lasciandosi aiutare da chi si è assunto la responsabilità di aiutare l’altro, anche quando non sempre sa come farlo. Proverò a spiegare meglio questo pensiero (1).

(1) Quanto segue è liberamente tratto da: Campione, F. 2008. Ospitare il trauma. Un modello di intervento nelle situazioni di crisi. Clueb, Bologna

Si sente dire spesso oggi che il cancro è diventato “guaribile”. Probabilmente è vero, almeno in certi casi, e questo significa che “si può morire da vecchi” anche se ci si ammala di tumore. Il problema di questa malattia infatti non sembra più tanto legato al rischio di morte, quanto al fatto che produce una serie specifica di sofferenze. Ammalarsi di tumore rappresenta comunque ancora oggi un trauma, dal greco “ferita”. Questo termine viene usato generalmente mettendo l’accento sull’evento che ferisce o sulla ferita che esso provoca nella vittima, per questo, a seconda dell’uso che se ne vuole fare, il concetto di trauma può portare ad interventi psicologici diversi, basati per così dire sulle “cause” o sugli “effetti”. I primi costituiscono una tipologia di interventi basati su tecniche che mirano soprattutto a far superare le conseguenze negative della malattia in quanto tali, cioè in quanto conseguenze spiacevoli di un brutto evento. Al contrario, gli interventi psicologici basati sugli “effetti” mirano a far superare le conseguenze di un evento, in questo caso la malattia, non in quanto tale, ma perché ha colpito quella specifica persona (con la sua biologia, la sua personalità, biografia e condizione socio-culturale). Ma in realtà il trauma è una ferita le cui peculiarità derivano sia dall’evento che l’ha procurato, sia dalle caratteristiche o dalla “natura” della vittima che l’ha ricevuto. Se si concepisce l’uomo come un organismo biologico in una relazione di adattamento con l’ambiente, qualunque ferita egli subisca sarà determinata dalle leggi della biologia. Andrà benissimo anche caratterizzare il trauma come “disturbo post traumatico da stress” e gli interventi di crisi come interventi tesi a migliorare la resilienza; infatti, qualunque causa sia all’origine di un trauma, esso sarà connotato come un forte stress e qualunque possa essere la via di risoluzione, essa sarà una via di resilienza. In questo caso la vulnerabilità sarà sempre biologica e gli interventi, anche quelli psicologici, saranno tesi a ripristinare l’adattamento dell’organismo all’ambiente. Se si percepisce l’uomo come un essere personale unico e irripetibile in una relazione ermeneutica con l’ambiente, le ferite che subirà saranno diverse a seconda di come verranno interpretate, cioè a seconda di come metteranno in crisi l’identità particolare dell’individuo colpito. In questo caso la vulnerabilità sarà specifica dell’identità personale colpita e gli interventi, anche quelli di aiuto materiale, saranno volti a ricostruire l’identità personale e la biografia di chi è stato colpito. Ma se si concepisce l’uomo come un essere sociale da sempre in relazione con altri e impegnato a costruire insieme a loro il mondo, la ferita del trauma si concepirà come un danno che non riguarda solo l’individuo (organismo biologico o persona) ma anche gli altri, cioè come una ferita il cui “dove” non è più l’organismo (come nella prima concezione), né la biografia personale (come nella seconda), ma in quella zona che si stende “tra” gli organismi e le persone, che si fa e si disfa a seconda delle loro relazioni. In questa ottica gli interventi saranno volti a ricostruire le trame del vivere con e per gli altri che il trauma ha interrotto. In questo caso infatti la vulnerabilità del trauma sarà quella dell’umanità colpita, cioè dei significati comuni delle persone colpite o delle loro relazioni. Gli interventi allora saranno volti a riannodare le relazioni interrotte, a vitalizzare quelle non riannodabili perché irrimediabilmente perdute, in breve a riprendere il cammino della costruzione comune dell’umanità interrotto dal trauma, per tornare a vivere con e per gli altri dopo che il trauma ha costretto a rinchiudersi nel proprio dramma biologico-personale.

Solo la persona che ha subito il trauma è in grado di dire quale intervento è più utile per lui in un determinato momento. Significa che la prima cosa da fare è cercare di capire empaticamente quale sia di volta in volta l’intervento più adatto: se l’intervento sulla biologia ferita, sull’identità o sull’umanità ferita. Se c’è bisogno di intervenire sulla biologia ferita, perché il trauma “ha rotto” l’adattamento, si rende necessaria una riparazione mediante la sostituzione dei “pezzi” che il trauma ha distrutto e il ripristino delle funzioni fuori uso. Se questa modalità di intervento non è più efficace si può sempre rilanciare sullo stesso piano tentando di migliorare la tecnica utilizzata o di metterne a punto altre. Se c’è bisogno si intervenire sul piano dell’identità soggettiva, l’aiuto consiste invece nell’aiutare la vittima del trauma a prendere meglio ciò che le è capitato interpretandolo in modo personale nel quadro della sua biografia. Questo intervento mostra però i suoi limiti in quelle situazioni di crisi in cui ricostruire l’identità personale dopo un trauma non è possibile e non si può più accedere ad una identità differente. Sul piano dell’umanità ferita, il trauma è percepito come non riparabile né tanto meno interpretabile in modo che sia vivibile, quindi l’unico aiuto che si può dare e ricevere consiste nel condividere con altri la costruzione di un mondo nel quale ognuno mette le risorse che ha a disposizione e per il quale possono quindi bastare quelle che il trauma ha lasciato. In questo caso si potrà allora attraversare la complessità di ogni situazione traumatica senza cercare di ridurla alle caratteristiche di un approccio particolare. Le situazioni di crisi reale, infatti, sono situazioni in cui tende a prevalere una modalità o l’altra in base alla fenomenologia del trauma (biologico, personale od umano), ma in ogni situazione sono sempre presenti tutte le dimensioni dell’uomo che bisogna perciò imparare a distinguere, senza stabilire una prevalenza in modo da poter elasticamente cambiare approccio ogni volta che la dinamica della situazione lo impone. Se ogni volta che qualcuno vive una situazione di crisi si cercano vie “tecniche” o “personali” per aiutarlo, si finisce per separare il “chi” dalla sua crisi. Troppo spesso si aiutano i malati a superare la malattia, quasi mai a superare la crisi esistenziale che la malattia ha determinato, oppure si aiutano i vecchi a superare i limiti della loro vecchiaia, quasi per niente a superare la crisi esistenziale che la vecchiaia ha portato. Ma non ci si accorge che nelle situazioni di crisi siamo tutti uguali, cioè siamo uomini che hanno bisogno di altri uomini in grado di rispondere al loro appello di aiuto senza fare calcoli (né tecnici né di interesse personale), uomini che, di fronte alla  constatazione che ci sono persone in crisi bisognose di aiuto, si prendono la responsabilità di aiutarle, cioè di accogliere il loro appello di aiuto a prescindere dal “sapere” come aiutarle. E allora di fronte ad una persona in crisi, di fronte al suo trauma, bisogna cercare di capire sempre quale potrebbe essere la risposta giusta per lei e soprattutto cercarla insieme. In altre parole questo significa fare del lavoro umano inteso come riattivazione del desiderio di chiedere aiuto agli altri e di rispondere all’appello di aiuto di altri, senza sapere in anticipo se si potrà essere aiutati o si potrà aiutare, ma solo per riavvicinarsi agli altri, solo per vincere la solitudine che è il sintomo cardine dell’umanità in crisi.

fonte: osservatorio di Psicologia

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