Un contributo indiretto allo psicodramma analitico: Winnicott

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Un contributo indiretto allo psicodramma analitico: Winnicott

Nota di Alfredo Rapaggi
Dopo l’articolo in cui Cecilia Pompei ha illustrato il pensiero di Anzieu come importante contributo alla nascita dello Psicodramma Analitico, proseguiamo con questo pezzo che presenta un altro importante psicoanalista, posizionato nel novero dei “relazionali”: Winnicott.
La differenza che il lettore noterà subito è che abbiamo deciso di pubblicare brani  abbastanza brevi da permettere piccole riflessioni durante gli intervalli che caratterizzano la giornata lavorativa di uno psicoanalista.
Cecilia Pompei
Winnicott dedica gran parte delle riflessioni della sua lunga carriera al rapporto fra gioco e atto creativo, ponendo entrambi in relazione diretta con le esperienze che fa il bambino nei primissimi giorni di vita.
Le qualità personali di Winnicott influenzano largamente la sua opera. Pur ritenendo che la vita sia difficile per tutti fin dall’inizio, Winnicott è convinto che per ognuno essa possa essere un’esperienza preziosa e creativa, degna di essere vissuta. Nato nell’epoca ottimista prima della Prima Guerra Mondiale, i suoi anni d’infanzia sono vissuti in un ambiente sicuro, sufficientemente libero, all’interno del quale egli può sviluppare quella fiducia in se stesso necessaria per poter avere poi fiducia negli altri. È un uomo pratico, con i piedi ben piantati per terra. Le sue idee e teorie sono sempre finalizzate a migliorare il suo lavoro terapeutico e per meglio definire come l’individuo possa maturare senza ostacoli.
Incapace di abbracciare la teoria freudiana dell’istinto di morte, rigetta l’idea che l’uomo nasca con dentro di sé i germi della sua propria distruzione, privilegiando l’ipotesi che sia naturalmente volto alla spontaneità e alla creatività e che nella sua maturità possa essere in grado di “identificarsi con l’ambiente, di partecipare alla costituzione, conservazione e modificazione dell’ambiente e di operare questa identificazione senza grave sacrificio degli impulsi personali”[1]. Il vivere creativo è secondo Winnicott uno stato salutare.
La sua famiglia è anticonformista, e gli insegna fin da bambino a trovare da solo le risposte a lui più consone. Anche per questo sarà spietato nei confronti del luogo comune, dell’ipocrisia e della falsità, pur accostandovisi con la comprensione necessaria per ritenere l’ambiente familiare il principale fautore di questi atteggiamenti nell’uomo adulto. Nonostante questo, non smette mai di sottolineare la positività di quanto accade in seno ai legami familiari, anche di quei disagi e problemi che fanno naturalmente parte della tendenza innata dell’essere umano di crescere e maturare.
Winnicott gode della compagnia del prossimo, in particolare di quella dei bambini, che contraccambiano largamente la sua simpatia. Per questo si sente attratto dalla pediatria prima e dalla psichiatria infantile poi, consacrandovi la sua vita e la sua creatività da enfant terribile, come veniva spesso considerato dai suoi colleghi. Indaga lo sviluppo dell’ambiente tanto quanto quello del bambino, trovando che essi siano fortemente correlati. Gli è impossibile concepire la crescita dell’essere umano disgiunto dal suo ambiente specifico. Anche per questo diventa un pioniere nel promulgare il metodo delle osservazioni duplici del paziente/bambino: osservazione diretta dei bambini e degli adulti che si occupano di loro e osservazione del paziente (di tutte le età) nel setting analitico. L’osservazione diretta non può da sola costruire una psicologia della prima infanzia (pur rimanendo, secondo lui, il metodo da privilegiare), quindi usa la psicoanalisi per rendersi conto dei contenuti impliciti nei comportamenti dei bambini e dei loro genitori.
[1] Winnicott D.W., La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, Armando, Roma, 1968

 

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Dopo l’articolo in cui Cecilia Pompei ha illustrato il pensiero di Anzieu come importante contributo alla nascita dello Psicodramma Analitico, proseguiamo con questo pezzo che presenta un altro importante psicoanalista, posizionato nel novero dei “relazionali”: Winnicott.
La differenza che il lettore noterà subito è che abbiamo deciso di pubblicare brani  abbastanza brevi da permettere piccole riflessioni durante gli intervalli che caratterizzano la giornata lavorativa di uno psicoanalista.

Nota di Alfredo Rapaggi

 

Winnicott dedica gran parte delle riflessioni della sua lunga carriera al rapporto fra gioco e atto creativo, ponendo entrambi in relazione diretta con le esperienze che fa il bambino nei primissimi giorni di vita.

Le qualità personali di Winnicott influenzano largamente la sua opera. Pur ritenendo che la vita sia difficile per tutti fin dall’inizio, Winnicott è convinto che per ognuno essa possa essere un’esperienza preziosa e creativa, degna di essere vissuta. Nato nell’epoca ottimista prima della Prima Guerra Mondiale, i suoi anni d’infanzia sono vissuti in un ambiente sicuro, sufficientemente libero, all’interno del quale egli può sviluppare quella fiducia in se stesso necessaria per poter avere poi fiducia negli altri. È un uomo pratico, con i piedi ben piantati per terra. Le sue idee e teorie sono sempre finalizzate a migliorare il suo lavoro terapeutico e per meglio definire come l’individuo possa maturare senza ostacoli.

Incapace di abbracciare la teoria freudiana dell’istinto di morte, rigetta l’idea che l’uomo nasca con dentro di sé i germi della sua propria distruzione, privilegiando l’ipotesi che sia naturalmente volto alla spontaneità e alla creatività e che nella sua maturità possa essere in grado di “identificarsi con l’ambiente, di partecipare alla costituzione, conservazione e modificazione dell’ambiente e di operare questa identificazione senza grave sacrificio degli impulsi personali”[1]. Il vivere creativo è secondo Winnicott uno stato salutare.

La sua famiglia è anticonformista, e gli insegna fin da bambino a trovare da solo le risposte a lui più consone. Anche per questo sarà spietato nei confronti del luogo comune, dell’ipocrisia e della falsità, pur accostandovisi con la comprensione necessaria per ritenere l’ambiente familiare il principale fautore di questi atteggiamenti nell’uomo adulto. Nonostante questo, non smette mai di sottolineare la positività di quanto accade in seno ai legami familiari, anche di quei disagi e problemi che fanno naturalmente parte della tendenza innata dell’essere umano di crescere e maturare.

Winnicott gode della compagnia del prossimo, in particolare di quella dei bambini, che contraccambiano largamente la sua simpatia. Per questo si sente attratto dalla pediatria prima e dalla psichiatria infantile poi, consacrandovi la sua vita e la sua creatività da enfant terribile, come veniva spesso considerato dai suoi colleghi. Indaga lo sviluppo dell’ambiente tanto quanto quello del bambino, trovando che essi siano fortemente correlati. Gli è impossibile concepire la crescita dell’essere umano disgiunto dal suo ambiente specifico. Anche per questo diventa un pioniere nel promulgare il metodo delle osservazioni duplici del paziente/bambino: osservazione diretta dei bambini e degli adulti che si occupano di loro e osservazione del paziente (di tutte le età) nel setting analitico. L’osservazione diretta non può da sola costruire una psicologia della prima infanzia (pur rimanendo, secondo lui, il metodo da privilegiare), quindi usa la psicoanalisi per rendersi conto dei contenuti impliciti nei comportamenti dei bambini e dei loro genitori.

Cecilia Pompei

[1] Winnicott D.W., La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, Armando, Roma, 1968

 

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