Presentazione
Quando sono entrato nello studio e ho visto solo lui, seduto sul divanetto di fronte, ho provato un pizzico di delusione. Non è difficile che dopo le sedute di psicodiagnosi uno dei due partner rinunci a proseguire, con la tipica idea, resistenza, che sia l’altro ad averne bisogno. Di solito, veramente, chi resta è la donna, ma evidentemente mi trovavo davanti a un’eccezione. Cosa potevo farci, quando un soggetto non si presenta le nostre capacità sono annullate. Ho pensato che ancora una volta avrei dovuto essere pronto a cambiare programma, e mi sono diretto verso il paziente.
Quello ha lasciato che mi avvicinassi, si è alzato e ha fatto un passo, poi, invece di porgermi la mano destra, ha allargato il braccio sinistro invitandomi a guardare dietro di me.
Lei, Mirella, era in piedi, nell’angolo di fianco alla porta, nascosta dalla penombra, nell’attesa sicura di chi è avvezza al ruolo. Devo dire che anche nelle tre sedute precedenti aveva seguito un cliché simile, anche se con modalità diverse: si metteva nella posizione psicologica di chi non c’è, o non c’entra, salvo poi riuscire sempre ad avere l’ultima parola. Questa volta però aveva osato di più, si era proprio nascosta bene, fino a farmi temere per un attimo che avesse rinunciato, che non avrebbe continuato a venire. Naturalmente non gliel’ho detto, però credo che lei sia stata così attenta ai miei movimenti da provare il piacere, atteso, che io avessi questo tipo di sentimento (più avanti vedremo perché).
La sua stretta di mano la conoscevo già: tanto era sofferente lei, nell’aspetto, tanto era secco e sudato quel suo primo formale contatto.
Dunque s’erano messi ai lati opposti dello studio, quattro o cinque metri uno dall’altro ed era la prima volta che lo facevano: la prima volta, in occasione della prima sessione programmata per lo psicodramma.
Nell’interpretazione più positiva, erano così pronti al lavoro che mi avevano portato l’immagine della loro relazione attuale, così da evitare i preliminari. Questo tipo di relazione, come vedremo più avanti era frutto degli schemi delle rispettive famiglie d’origine.
Ma non mi nascondevo il fatto che quell’atmosfera fosse anche di grande paura, quindi di difesa, e che avrei dovuto rasserenarli un po’.
Mi voltai a salutare lui, Renato, che per professione si era abituato ad una stretta di mano decisa, e con gli altri riusciva a nascondere abbastanza il suo stato conflittuale.
Le storie di Mirella e Renato s’erano incrociate quasi perfettamente con le loro diversità.
Lei introversa estrovertita;
Lui estroverso introvertito;
Lei primogenita, con un fratellino di tre anni più piccolo;
lui secondogenito, con una sorella più grande di cinque anni.
Entrambi avevano avuto i padri-fantasmi, oltretutto impegnati per lavoro, fuori casa più giorni alla settimana. Dai rispettivi racconti mi ero fatto l’idea che quell’impegno se lo fossero cercato, come si cerca una boccata d’ossigeno affettivo, una ribellione silenziosa e legale rispetto alla dipendenza dalle mogli, evidentemente viste come madri, in modo prevalente.
Questo aspetto comune, però, aveva prodotto in Mirella e Renato conseguenze opposte.
Lui non aveva potuto misurarsi con l’Uomo, amico e avversario , l’Uomo capace sia d’incentivare i suoi impulsi migliori e di capirli, sia di contenere i suoi istinti aggressivi, e aveva dovuto diventare la guida e l’avversario di se stesso, sopperendo con la fantasia alla mancata presenza reale. E sappiamo come la fantasia abbia confini molto più labili e come porti ad esagerare sia il ruolo del vincitore, sia quello del perdente, esasperando il conflitto tra le due istanze; aggiungo che il padre aveva un atteggiamento regressivo verso la moglie, tanto da risultarne sottomesso come un figlio aggiunto, forse un figlio ancora più piccolo e più impotente.
Lei si era ritrovata con un fratellino, Renzo, proprio nell’età in cui avrebbe dovuto godersi il contatto col padre e si era adattata a convivere con quell’intruso, tra l’altro smaccatamente preferito dalla madre, che lo chiamava Re, anzi, “il mio Re”, come diminutivo. In altre parole, nel momento giusto aveva conosciuto il maschio sbagliato, non quello su cui avrebbe potuto riversare il proprio amore ma quello verso cui provava il desiderio aggressivo di eliminazione; un desiderio che però non poteva agire, che le rimandava contemporaneamente sensi di colpa, impotenza e sentimenti di protezione.
Il maschio era per lei l’oggetto quasi misterioso, il Re autentico da amare però solo fantasticamente, e insieme l’oggetto da rifiutare. Nel suo racconto, i sentimenti più evidenti che ammetteva di avere verso il maschio adulto, il padre, erano: il rancore di chi si è sentita abbandonata, e contemporaneamente, la fantasia esagerata di essere comunque la sua preferita.
Entrambe le madri erano bisognose, ma rifiutanti, anche se in modo diverso.
Renato era rimasto “in balia” delle due femmine: inglobato, vezzeggiato e viziato da una madre possessiva all’eccesso, poi strapazzato conflittualmente dalla sorella, la sua Robby, che “senza volere”, ogni tanto agiva le sue fantasie aggressive e lo segnava con qualche ferita (quando ancora era nella culla l’aveva più volte graffiato in varie parti del corpo, incurante delle sgridate “isteriche” della madre, e più tardi gli aveva procurato incidenti di ogni tipo: mai gravi, spesso per sola fortuna, ma costanti); era cresciuto con l’idea d’essere al centro del mondo, nel bene nel male: ne era molto spaventato, ma per tendenza e per difesa era spavaldo.
Mirella si era trovata espulsa dalla diade madre-fratello ed era furiosa per questo, ma contemporaneamente agiva la coazione di dover vivere ai margini del mondo (così si era presentata nel mio studio). il suo corpo non riusciva a nascondere la rabbia che la divorava ancora, ma mostrava con altrettanta forza il dolore (piangeva spesso, anche in modo molto toccante) e lasciava trapelare l’espressione rassegnata tipica della vittima. In Renato aveva visto tutto il suo mondo regressivo: l’incassatore capace di prendersi secchiate di rabbia e nugoli di frecciate velenose, ma anche il premuroso protettore, che s’identificava con la vittima e ne evitava la morte.
Renato cercava protezione e insieme la rifiutava, avendo come coazione l’ordine di dover far tutto da solo, immerso in un melmoso, appiccicaticcio composto di miele e fiele. In Mirella aveva trovato l’illusoria soluzione dei suoi tormenti: permettendole di colpirlo trasformava il rancore di lei in tenerezza (riparatoria); giocando il ruolo di protettore riusciva a identificarsi nel capo famiglia che gli era mancato: così poteva realizzare fantasticamente tre desideri: poteva godere il sogno edipico, controllare la soffocante morsa della madre e dominare la confusione patologica della sorella.
Presentazione
Quando sono entrato nello studio e ho visto solo lui, seduto sul divanetto di fronte, ho provato un pizzico di delusione. Non è difficile che dopo le sedute di psicodiagnosi uno dei due partner rinunci a proseguire, con la tipica idea, resistenza, che sia l’altro ad averne bisogno. Di solito, veramente, chi resta è la donna, ma evidentemente mi trovavo davanti a un’eccezione. Cosa potevo farci, quando un soggetto non si presenta le nostre capacità sono annullate. Ho pensato che ancora una volta avrei dovuto essere pronto a cambiare programma, e mi sono diretto verso il paziente.
Quello ha lasciato che mi avvicinassi, si è alzato e ha fatto un passo, poi, invece di porgermi la mano destra, ha allargato il braccio sinistro invitandomi a guardare dietro di me.
Lei, Mirella, era in piedi, nell’angolo di fianco alla porta, nascosta dalla penombra, nell’attesa sicura di chi è avvezza al ruolo. Devo dire che anche nelle tre sedute precedenti aveva seguito un cliché simile, anche se con modalità diverse: si metteva nella posizione psicologica di chi non c’è, o non c’entra, salvo poi riuscire sempre ad avere l’ultima parola.
Questa volta però aveva osato di più, si era proprio nascosta bene, fino a farmi temere per un attimo che avesse rinunciato, che non avrebbe continuato a venire. Naturalmente non gliel’ho detto, però credo che lei sia stata così attenta ai miei movimenti da provare il piacere, atteso, che io avessi questo tipo di sentimento (più avanti vedremo perché).
La sua stretta di mano la conoscevo già: tanto era sofferente lei, nell’aspetto, tanto era secco e sudato quel suo primo formale contatto.
Dunque s’erano messi ai lati opposti dello studio, quattro o cinque metri uno dall’altro ed era la prima volta che lo facevano: la prima volta, in occasione della prima sessione programmata per lo psicodramma.
Nell’interpretazione più positiva, erano così pronti al lavoro che mi avevano portato l’immagine della loro relazione attuale, così da evitare i preliminari. Questo tipo di relazione, come vedremo più avanti era frutto degli schemi delle rispettive famiglie d’origine.
Ma non mi nascondevo il fatto che quell’atmosfera fosse anche di grande paura, quindi di difesa, e che avrei dovuto rasserenarli un po’.
Mi voltai a salutare lui, Renato, che per professione si era abituato ad una stretta di mano decisa, e con gli altri riusciva a nascondere abbastanza il suo stato conflittuale.
Le storie di Mirella e Renato s’erano incrociate quasi perfettamente con le loro diversità.
- Lei introversa estrovertita;
- Lui estroverso introvertito;
- Lei primogenita, con un fratellino di tre anni più piccolo;
- lui secondogenito, con una sorella più grande di cinque anni.
Entrambi avevano avuto i padri-fantasmi, oltretutto impegnati per lavoro, fuori casa più giorni alla settimana. Dai rispettivi racconti mi ero fatto l’idea che quell’impegno se lo fossero cercato, come si cerca una boccata d’ossigeno affettivo, una ribellione silenziosa e legale rispetto alla dipendenza dalle mogli, evidentemente viste come madri, in modo prevalente.
Questo aspetto comune, però, aveva prodotto in Mirella e Renato conseguenze opposte.
- Lui non aveva potuto misurarsi con l’Uomo, amico e avversario , l’Uomo capace sia d’incentivare i suoi impulsi migliori e di capirli, sia di contenere i suoi istinti aggressivi, e aveva dovuto diventare la guida e l’avversario di se stesso, sopperendo con la fantasia alla mancata presenza reale. E sappiamo come la fantasia abbia confini molto più labili e come porti ad esagerare sia il ruolo del vincitore, sia quello del perdente, esasperando il conflitto tra le due istanze; aggiungo che il padre aveva un atteggiamento regressivo verso la moglie, tanto da risultarne sottomesso come un figlio aggiunto, forse un figlio ancora più piccolo e più impotente.
- Lei si era ritrovata con un fratellino, Renzo, proprio nell’età in cui avrebbe dovuto godersi il contatto col padre e si era adattata a convivere con quell’intruso, tra l’altro smaccatamente preferito dalla madre, che lo chiamava Re, anzi, “il mio Re”, come diminutivo. In altre parole, nel momento giusto aveva conosciuto il maschio sbagliato, non quello su cui avrebbe potuto riversare il proprio amore ma quello verso cui provava il desiderio aggressivo di eliminazione; un desiderio che però non poteva agire, che le rimandava contemporaneamente sensi di colpa, impotenza e sentimenti di protezione.
Il maschio era per lei l’oggetto quasi misterioso, il Re autentico da amare però solo fantasticamente, e insieme l’oggetto da rifiutare. Nel suo racconto, i sentimenti più evidenti che ammetteva di avere verso il maschio adulto, il padre, erano: il rancore di chi si è sentita abbandonata, e contemporaneamente, la fantasia esagerata di essere comunque la sua preferita.
Entrambe le madri erano bisognose, ma rifiutanti, anche se in modo diverso.
- Renato era rimasto “in balia” delle due femmine: inglobato, vezzeggiato e viziato da una madre possessiva all’eccesso, poi strapazzato conflittualmente dalla sorella, la sua Robby, che “senza volere”, ogni tanto agiva le sue fantasie aggressive e lo segnava con qualche ferita (quando ancora era nella culla l’aveva più volte graffiato in varie parti del corpo, incurante delle sgridate “isteriche” della madre, e più tardi gli aveva procurato incidenti di ogni tipo: mai gravi, spesso per sola fortuna, ma costanti); era cresciuto con l’idea d’essere al centro del mondo, nel bene nel male: ne era molto spaventato, ma per tendenza e per difesa era spavaldo.
- Mirella si era trovata espulsa dalla diade madre-fratello ed era furiosa per questo, ma contemporaneamente agiva la coazione di dover vivere ai margini del mondo (così si era presentata nel mio studio). il suo corpo non riusciva a nascondere la rabbia che la divorava ancora, ma mostrava con altrettanta forza il dolore (piangeva spesso, anche in modo molto toccante) e lasciava trapelare l’espressione rassegnata tipica della vittima. In Renato aveva visto tutto il suo mondo regressivo: l’incassatore capace di prendersi secchiate di rabbia e nugoli di frecciate velenose, ma anche il premuroso protettore, che s’identificava con la vittima e ne evitava la morte.
- Renato cercava protezione e insieme la rifiutava, avendo come coazione l’ordine di dover far tutto da solo, immerso in un melmoso, appiccicaticcio composto di miele e fiele. In Mirella aveva trovato l’illusoria soluzione dei suoi tormenti: permettendole di colpirlo trasformava il rancore di lei in tenerezza (riparatoria); giocando il ruolo di protettore riusciva a identificarsi nel capo famiglia che gli era mancato: così poteva realizzare fantasticamente tre desideri: poteva godere il sogno edipico, controllare la soffocante morsa della madre e dominare la confusione patologica della sorella.
Alfredo Rapaggi
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