Rapporto del Ministero della salute. E chi ci rimette? Indovinello

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Rapporto del Ministero della salute. E chi ci rimette? Indovinello

Consultori, 186 chiusure in due anni

mancano i soldi e il personale

 

Nati 35 anni fa come presidio sul territorio, oggi portano spesso avanti con difficoltà il compito di aiutare donne, coppie e famiglie: spazi ridotti, carenza di pediatri e infermieri.  La crisi è nazionale con le eccezioni di Lombardia, Emilia, Toscana e Sardegna dove la rete cresce

 

di ADELE SARNO

 

ROMA – Pochi, sempre di meno e con un organico ridotto. I consultori familiari (Cf) in Italia dovrebbero essere almeno tremila, ma non se ne contano più di duemila. E il numero di quelli attivi sul territorio nazionale diminuisce invece di aumentare: nel 2007 erano 2.097, nel 2009 1.911. In due anni quindi ne sono stati chiusi o accorpati 186. Sono questi i dati del rapporto del ministero della Salute “Organizzazione e attività dei consultori familiari pubblici in Italia – anno 2008”, presentato oggi a Roma durante il convegno nazionale della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo). L’indagine per la prima volta tenta di mettere a fuoco la realtà dei consultori pubblici distribuiti su tutto il territorio nazionale.

 

“Il consultorio familiare – dice Giovanni Ascone, del ministero della Salute, direttore dell’Ufficio per la tutela della salute della donna e dell’età evolutiva – è il luogo della prevenzione e della cura del disagio legato al ciclo di vita personale e di coppia e ha tra i compiti istituzionali primari il sostegno alla donna e alla famiglia e in particolare alla genitorialità. Nonostante gli sforzi compiuti per offrire servizi efficaci, il numero dei consultori familiari è andato negli anni contraendosi, un po’ per accorpamento, un po’ per vere e proprie chiusure”.

 

E così, a 35 anni dalla loro istituzione, i consultori non sono in grado di soddisfare le esigenze di una parte della popolazione. Secondo la legge 34 del 1996, dovrebbero essere uno ogni 20mila abitanti nelle città e uno ogni 10mila nelle zone rurali, per un totale di più di tremila strutture. Ma, stando ai dati del ministero, sono 1911. Nel 2007 esisteva in media un consultorio ogni 28.431 abitanti, nel 2009 tale rapporto è diminuito a uno ogni 31.197. Soltanto Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Sardegna hanno incrementato la rete, mentre tutte le altre regioni sono ancora indietro. Quella con più consultori è l’Emilia Romagna che conta 210 strutture, mentre il fanalino di coda è il Molise che ne ha sette.

 

“Nel tempo i consultori familiari non sono stati né potenziati né adeguatamente valorizzati  – dice Giovanni Ascone –  in diversi casi l’interesse intorno al loro operato è stato scarso ed ha avuto come conseguenze il mancato adeguamento delle risorse, della rete dei servizi, degli organici, delle sedi”.

 

Uno dei problemi principali infatti, si legge nel rapporto, è la carenza di personale. Ciò rende difficoltoso il lavoro di equipe in molte strutture consultoriali. Stando al Progetto obiettivo materno infantile 2000 (Pomi) che voleva rilanciare il ruolo dei consultori, dovrebbero esserci sei o sette persone per consultorio, ma solo il 21% dei consultori italiani raggiunge tale livello. Nel 45% dei casi il consultorio dispone di un’equipe di 4-5 figure, con le quali è possibile svolgere un lavoro “sufficiente ma incompleto”. Solo nel 4% dei casi sono presenti le otto figure professionali, nel 21% ci sono 6-7 persone; nel 23% da una a tre. Le figure più presenti sembrano essere: l’ostetrica, lo psicologo, l’assistente sociale e il ginecologo. A scarseggiare sono: i pediatri, le infermiere pediatriche e le assistenti sanitarie.

 

Per gli operatori, tuttavia, la qualità della sede consultoriale è giudicata “buona” nel 55% dei casi, mediocre per il 29% e solo il 3% delle sedi consultoriali viene definito fatiscente. Quello dei consultori infatti non è solo un problema di personale, ma anche economico e di qualità delle strutture. Solo in sei Regioni (Piemonte, Provincia autonoma di Bolzano, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche e Sicilia) è presente in tutte le Asl un budget vincolato per l’attività dei consultori.

 

Se si considerano i luoghi, si nota che solo la metà dei consultori ha 5 stanze. Il 26% delle regioni presenta strutture con un numero di 3-4 locali, che potrebbero “non essere sufficienti” a svolgere tutte le attività consultoriali in modo adeguato. Il 15% dei Cf ha un numero di locali compreso tra uno e due e in Piemonte e Umbria tale percentuale supera il 50%. E invece, secondo la legge, queste strutture dovrebbero disporre di: locale per l’accoglienza degli utenti; segreteria e informazioni; locale per la consulenza psicologica diagnostica e terapeutica; locale per le visite ostetrico-ginecologiche e pediatriche; locale per le riunioni; lo spazio archivio.

 

Ebbene, solo la Valle d’Aosta, la Provincia autonoma di Bolzano, quella di Trento, il Friuli Venezia Giulia, il Lazio, la Sardegna e la Sicilia hanno una media superiore al 50% di consultori con 5 o più locali. Il 18% delle Regioni non ha neanche inviato una risposta riguardo questo quesito.

Fonte: La Repubblica

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