GREZZANA. Domani in sala consiliare la presentazione dello studio diventato volume e nato dai lavori di restauro
Il sistema difensivo della Lessinia è stato analizzato dagli esperti a conclusione dei lavori murari di ripristino dell’area militare.
Le opere di difesa dei Lessini, erette nel primo decennio del Novecento, «non ebbero nessun ruolo negli avvenimenti bellici», lo afferma, senza tema di smentite, anche alla luce di quanto successe dopo la loro ideazione e costruzione, Leonardo Malatesta, che ha curato l’ampia e documentata introduzione al volume «Il sistema difensivo della Lessinia», scritto da Fiorenzo Meneghelli e Massimiliano Valdinoci.
È uno studio pubblicato in una confezione riccamente illustrata di 176 pagine di grande formato con foto, disegni e prospetti da Orion Edizioni, promosso dalla Comunità montana e dal Parco della Lessinia con il contributo della Regione e di Fondazione Cariverona, nel quale i due architetti, impegnati nel restauro e nel recupero ambientale di edifici storici militari, analizzano il sistema difensivo dei Lessini, i forti ancora esistenti, descrivono il progetto di recupero di Forte Santa Viola, la sua valorizzazione e aggiungono un contributo di Marco Polo System sul Campo trincerato di Mestre, nonché una conclusiva presentazione della valorizzazione dell’insieme dei sistemi difensivi veneti.
Il volume sarà presentato dagli autori domani alle 9,30 in sala consiliare a Grezzana alle 9.30, con i saluti del sindaco Mauro Bellamoli e del presidente di Comunità montana e Parco Claudio Melotti, interventi introdotti dal direttore del Parco Diego Lonardoni. Seguirà una visita guidata e con trasporto gratuito al Forte di Santa Viola.
Opera inutile, dunque, si diceva, dal punto di vista militare, come tutta la corona che circondava Verona da Est a Nord, partendo dalle Batterie Monticelli, Forte di San Briccio, Castelletto, di Santa Viola, di Monte Tesoro e Masua.
Troppo lontani dalle prime linee e senza nessuna funzione difensiva. Tra l’altro, se davvero avessero dovuto sostenere un bombardamento degli obici austro-ungarici da 305 millimetri, come rivela Malatesta, «avrebbero fatto la stessa fine del Verena e di tutte le opere erette ai confini di montagna. Il problema stava nella progettazione perché erano costruite per resistere a bombardamenti di medio calibro da 150 mm.
Questo perché l’architettura militare italiana non era andata di pari passo con lo sviluppo delle artiglierie, un errore clamoroso dovuto più che altro a scarsità di risorse, perché le stesse opere si potevano fare con metà dell’investimento.
Se non sono stati i bombardamenti è stato il tempo ad aver ragione di queste strutture, come ben documentano gli autori, ma il loro lavoro per il restauro del Forte di Santa Viola è stata anche occasione per mostrare che nella convergenza degli intenti tra Comune e Comunità montana e Parco si possono recuperare e valorizzare come risorse quanto si pensava destinato ad essere solo ruderi.
«È un primo contributo a un patrimonio che non è solo storico e architettonico, ma anche ambientale, per far conoscere manufatti costruiti per la guerra che possono diventare luoghi di incontro e di pace, un turismo a dimensione europea», commenta Melotti nell’introduzione al volume.
Vittorio Zambaldo
Info sull'autore